Lo sfogo del Cavaliere: basta con le cautele vogliono arrestarmi

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ROMA — Doveva essere la giornata della riflessione, per preparare al meglio l’incontro con Giorgio Napolitano che lo stato maggiore del Pdl — il segretario Alfano e i capigruppo uscenti Cicchitto e Gasparri — avranno oggi per denunciare «la persecuzione giudiziaria» nei confronti di Berlusconi. Ma la mazzata rappresentata da quelle che lo stesso Cicchitto definisce «una provocazione, una mezza provocazione e un tentativo di sopraffazione», ovvero il no al legittimo impedimento per Ghedini e Longo impegnati nella riunione dei gruppi a Milano, la seconda visita fiscale a Berlusconi e l’annuncio di processo immediato a Napoli per compravendita di parlamentari, ha fatto saltare i piani dei moderati del Pdl. E ha incendiato di nuovo gli animi.
Ci aveva messo tanto Gianni Letta a convincere il Cavaliere che se si vuole una forma di intesa con il Pd per un governo, un occhio benevolo del Quirinale sulle vicende giudiziarie e soprattutto un accordo sull’elezione del prossimo capo dello Stato che «sia a noi non ostile, magari lo stesso Napolitano», non serve mettere a fuoco e fiamme il Palazzo di Giustizia di Milano. Ma — dicono anche due ex ministre come la Gelmini e la Bernini — tutto «ha un limite, non potevamo non reagire». E d’altronde, almeno fino a quando è stato possibile conferire con lui (nel pomeriggio, giurano, stava veramente male e ha interrotto le comunicazioni), il Cavaliere non voleva sentire ragioni: «Ma basta con questi moderatismi, non ne posso più di queste cautele! Vogliono arrestarmi, farmi fuori, dovete reagire! Vi voglio tutti a palazzo di Giustizia, vogliono crocifiggermi!».
Insomma, l’operazione protesta ha visto il Pdl più o meno compatto, nonostante il dubbio di alcuni sull’efficacia della mossa. Dubbi che parecchi nutrono, stavolta sì, sull’evocato Aventino che dovrebbe tenersi venerdì, quando si insedieranno le Camere.
In verità , dicono da via dell’Umiltà , «ancora nulla è deciso». E questo non solo perché Berlusconi è, appunto, talmente fuori dalla grazia di Dio da non poter ottenere da lui una indicazione decisiva. No, è che nel Pdl si attende di capire quale sarà  oggi l’atteggiamento di Giorgio Napolitano. Ci si attende «un interessamento del presidente», dice scegliendo bene le parole la Gelmini. Qualcosa di concreto anche se di riservato, un’attenzione, un intervento da «presidente del Csm» come aggiunge Cicchitto, perché spiega Quagliariello «pretendiamo che quello che chiediamo merita una risposta: Berlusconi deve essere trattato come un imputato normale. Basta con l’accanimento, con decisioni assurde e minacciose come quella dei pm di Napoli».
Insomma, se il timore è quello sussurrato da tutti — una richiesta di arresto da Napoli — l’obiettivo minimo è avere l’assicurazione che Napolitano non lo permetterà . Ma, politicamente parlando, è ancora più importante capire che spazi esistono per l’elezione condivisa di un presidente che sia di garanzia per la sopravvivenza del Cavaliere. E nel Pdl si fa sempre più forte l’idea di puntare — nonostante la sua indisponibilità  â€” a una rielezione di Napolitano: «Noi — confida un big del partito — di lui ci fidiamo, e la cosa più importante a questo punto è avere un capo dello Stato che ci dà  garanzie…». Ma assieme, si punta a un’intesa complessiva con il Pd: «Un governicchio di qualche mese che ci porta a votare in autunno non ci interessa», scandisce Fitto. A quel punto, è un coro nel Pdl, meglio il voto a giugno con Berlusconi ancora in sella e chances di vincere che domani logorati, con il Cavaliere fuori dal Parlamento per condanna definitiva e il partito allo sbando. E se c’è aria di intesa, avvertono da via dell’Umilità  «lo vogliamo capire subito: non ci faremo imbrigliare in voti su presidenze delle Camere o finte trattative sul capo dello Stato: o è accordo vero subito, o si va al voto».
Per questo l’Aventino resta lì, sospeso. Molto probabile perché «ormai è escalation», dicono ai vertici del gruppo dirigente, dando per «quasi impossibile» un’intesa con il Pd. Da evitare, secondo i trattativisti a oltranza, come Maurizio Sacconi: «Sono contrario ad abbandonare il Parlamento, perché lì si difende la democrazia». Ed è «nelle istituzioni», suggerisce Osvaldo Napoli, che va «condotta la battaglia».
Paola Di Caro


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