«Mandare via a calci chi cambia casacca»

by Sergio Segio | 4 Marzo 2013 7:42

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ROMA — La giornalista televisiva domanda sarcastica al neodeputato a 5 Stelle: «Quanti Scilipoti quotate tra voi?». Quello va via quasi correndo — si infila nell’albergo a due passi da piazza San Giovanni scelto per la prima riunione di neoparlamentari grillini — e non dice nulla, un po’ sorride, metà  infastidito, metà  lusingato per l’attenzione. Invece Beppe Grillo, nella sua villa in Toscana, pubblica un post che pare fatto apposta: bisognerebbe «cacciare a calci» i parlamentari che cambiano casacca. Il titolo è emblematico: «Circonvenzione d’elettore». E spiega, con i toni consueti: gli eletti possono fare, «usando un eufemismo, il cazzo che gli pare senza rispondere a nessuno. Al momento del voto, l’elettore crede in buona fede alle dichiarazioni di Scilipoti o De Gregorio. Gli affida un mandato di un lustro, un tempo lunghissimo, per rappresentarlo in Parlamento e per attuare il programma. Gli paga lo stipendio con le sue tasse perché mantenga le promesse». Così, scrive sempre Grillo, ecco la «circonvenzione di elettore: se chi disattende un contratto commerciale può essere denunciato, chi ignora un contratto elettorale non rischia nulla, anzi di solito ci guadagna. È ritenuto del tutto legittimo il cambio in corsa di idee, opinioni, partiti. Si può passare dalla destra alla sinistra, dal centro al gruppo misto, si può votare una legge contraria al programma. Insomma, dopo il voto il cittadino può essere gabbato a termini di Costituzione». Ed è «una pratica molto comune nel parlamento, adottata da voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca». Per lui, «per cinque anni il parlamentare vive in un Eden, in un mondo a parte senza obblighi, vincoli». Riporta l’articolo 67 della Costituzione: «Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». E aggiunge: «Questo consente la libertà  più assoluta ai parlamentari…». Quelli eletti nel suo Movimento, arrivati a Roma per la prima riunione fuori dalla Rete, si danno regole interne, decidono di comunicare tra loro — e non con l’esterno — grazie ai gruppi di Google, «niente sms che costano cari». Ma la fedeltà  a Grillo, per loro, non è in discussione: anzi saranno lui e Casaleggio a dettare la linea per le comunicazioni con l’esterno. E perché? «Decidono loro, Casaleggio ha costruito un impero». Accessi blindati come fosse un bunker, ma entrare si può: la sala è alla fine delle scale, ci sono sedie in circolo, oltre cento parlamentari, alcuni in piedi, in jeans neri e giacca di pelle (Stefano Vignaroli), con l’eskimo (Alessandro Di Battista), alcuni seduti in terra. Sono arrivati a Roma fin dal mattino, alcuni raccontano di essere andati a Montecitorio, dove c’erano porte aperte ai cittadini e il doppio della solita fila, colma di simpatizzanti, alcuni convinti di «aver visto due neodeputati entrare e scattarsi foto». Ma vai a sapere se è vero: del resto, nell’assemblea, c’è chi incoraggia gli altri a «prendere in giro i giornalisti». Dicono di essere qui per «cambiare tutto», per «dare risposte alla gente che soffre»: ma non rispondono ad argomenti politici, né governissimo, né alleanze. «Alla gente non importa il mio parere sulla politica, non parlo a titolo personale», dice il neodeputato Alfonso Bonafede. Amano gli slogan: «Abbiamo molto da fare e niente da dire», ripete Stefano Cioffi. Stefano Vignaroli, tecnico Rai ora parlamentare, è certo: «Qui non parliamo del Paese ma solo delle regole da darci, lo giuro sulla Roma». E la petizione per dare la fiducia al Pd? Non rispondono, alcuni evitano anche di presentarsi, dicono solo il nome di battesimo, a volte si affacciano dalle finestre dell’albergo e scattano foto col telefono ai cameraman in attesa. Una neoeletta sorride a un collega appena conosciuto: «Tra dieci giorni saremo nel Grande fratello, vivremo cinque anni tutti assieme, tra tutti noi nascerà  l’odio, nasceranno amori». Tradimenti no, non sono contemplati.

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