by Sergio Segio | 1 Marzo 2013 6:34
NAPOLI — I vertici di Forza Italia furono informati di quel patto stipulato tra l’allora capo dell’opposizione Silvio Berlusconi e il parlamentare dell’Italia dei valori Sergio De Gregorio per indebolire, fino a farlo cadere, il governo Prodi. È lo stesso ex senatore a raccontarlo ai magistrati di Napoli. Ricostruisce gli incontri con Niccolò Ghedini, con Denis Verdini, con Marcello Dell’Utri. Rivela che anche altri esponenti politici — Gianfranco Rotondi e Alessandra Mussolini — hanno ricevuto soldi dal Cavaliere. Gli atti dell’inchiesta partenopea — condotta dai pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Francesco Curcio ed Henry John Woodcock — sulla compravendita dei parlamentari ricostruiscono in che modo fu combattuta quella che De Gregorio definisce «la guerra per far tornare Prodi a casa, visto che aveva prevalso per una manciata di voti». Con valigette di denaro in contanti consegnate direttamente negli uffici di Palazzo Madama da Valter Lavitola in cambio dei voti contrari e dei pareri negativi della commissione Difesa che De Gregorio presiedeva.
L’incontro
a Palazzo Grazioli
Le relazioni degli investigatori della Guardia di Finanza guidati dal colonnello Nicola Altiero evidenziano come i pagamenti fossero direttamente collegati alle iniziative prese da De Gregorio in Parlamento. È il 28 dicembre 2012 quando De Gregorio risponde per la prima volta alle domande dei pubblici ministeri ai quali, appena il giorno prima, ha fatto sapere di voler collaborare. «Non voglio giustificare né a voi né a me stesso di aver ricevuto due milioni in nero. Ho commesso un reato. Non mi domando perché Berlusconi affidasse al dottor Lavitola la pratica di consegnarmi il denaro. Io avevo detto al presidente Berlusconi che mi sarebbero serviti tre milioni». Il 7 gennaio precisa meglio i termini di questo patto e spiega: «Devo ammettere che l’accordo si consumò nel 2006, non nel 2007 e che il mio incontro a Palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi servì a sancire che la previsione di cassa, di necessità complessiva, era di tre milioni di euro e che immediatamente partirono le erogazioni a mio vantaggio. Il primo versamento arrivò al luglio 2006, un mese dopo la mia elezione a presidente della commissione Difesa».
De Gregorio spiega di aver «ricevuto due milioni di euro in contanti da Valter Lavitola a tranche di due, trecentomila euro alla volta, nell’anno 2007, peraltro avendo debiti fino al collo li ho versati in contanti sui conti delle società e se ci andate trovate un sacco di versamenti». Poi racconta le rassicurazioni che gli sarebbero state fatte da Berlusconi circa la sua carriera politica: «Un giorno Berlusconi mi disse: “Fino a quando io campo tu fai il senatore”».
Tra Ghedini, Schifani
e Dell’Utri
Non è andata così e c’è chi interpreta la scelta di collaborare con i magistrati proprio come una vendetta per la mancata candidatura. De Gregorio lo nega, assicura che aveva già deciso di abbandonare la politica. Però ci tiene a sottolineare i suoi rapporti con gli esponenti di spicco del partito. E parte proprio dall’inizio, quando decise di «vendersi», passando dallo schieramento di centrosinistra a quello di centrodestra. Fissa la data dell’intesa politica con Berlusconi: il 30 marzo 2007 durante un incontro a Reggio Calabria a margine di una manifestazione politica del suo movimento «Italiani nel mondo». E spiega: «Avendo fatto il ragionamento con Berlusconi, quel percorso di avvicinamento possibile, chiamo il senatore Schifani che era capogruppo di Forza Italia al Senato e gli dico: Renato, se mi votate io accetto i voti e mi prendo la responsabilità di farmi indicare presidente della commissione Difesa in alternativa alla Menapace».
È la svolta. Perché, come sottolinea l’ex senatore «in commissione Difesa io continuavo a mandare indietro i provvedimenti del governo. Era sicuramente un motivo che indeboliva il governo Prodi, da questo punto di vista non c’è dubbio, perché sul piano mediatico veniva fuori che la commissione Difesa esprimeva parere contrario». Un atteggiamento che, dice De Gregorio, «mi valse i complimenti di Berlusconi». Non solo. Il politico racconta di essere andato «a Padova a casa di Ghedini» proprio per parlare del ruolo di Lavitola e l’avvocato gli avrebbe riferito che il faccendiere «ha chiesto soldi a nome tuo». Parla dei contatti con Verdini e anche di un incontro all’hotel St. Regis di Roma con l’allora senatore Marcello Dell’Utri «con il quale avevo un rapporto di consuetudine. Era giugno, luglio. Gli ho detto: “Guarda, Marcello, voglio soltanto dirti quali sono le cose che ho fatto per il presidente Berlusconi, in base alle quali, non volendomi candidare, credo di meritare in qualche modo un riconoscimento per il mio futuro”».
I soldi a Dc
e Mussolini
Parlava con i vertici del partito, De Gregorio, ma a sentire il suo racconto l’unico che davvero decideva era Berlusconi. «Lavitola — mette a verbale — si presentò come suo incaricato».
Pubblico ministero: «Come incaricato dell’onorevole Berlusconi e quindi ha detto sono l’unico soggetto con cui devi trattare?».
De Gregorio: «Devi trattare con me, so io come te li do, a nero».
Pubblico ministero: «Questo incarico fu confermato implicitamente o esplicitamente da Berlusconi?».
De Gregorio: «Fu confermato dall’arrivo del denaro».
Evidentemente il senatore non era l’unico a percepire soldi. Lo conferma lui stesso: «Io insistetti molto: scusate, ma perché non li date al partito, che senso ha questa roba del nero? In realtà mi venne spiegato dallo stesso Lavitola che gli altri partiti minori avevano ricevuto somme più o meno uguali se non inferiori al milione di euro che mi era stato bonificato. Ricordo addirittura che la cifra di 700 mila euro, non di un milione, fu indicata per non far irritare Rotondi e la Mussolini e gli altri che avevano ricevuto sostegni dal partito in misura più o meno equivalente a questo contratto, quindi per non creare una rivoluzione tra i soggetti minori, sostanzialmente fu ipotizzata questa dazione in contanti».
La scrivania
piena di soldi
Quali fossero le modalità di consegna del denaro lo spiega Andrea Vetromile, commercialista che collaborava con De Gregorio e il suo movimento. Il 28 e il 29 febbraio 2012 viene interrogato dai pubblici ministeri e dichiara: «Mi consta che Berlusconi abbia versato la somma di due milioni e mezzo (oltre ai 700 mila già versati in precedenza, ndr) in più tranche. La somma a saldo di un milione nell’anno 2008 o 2009 è stata fatta transitare sul conto corrente intestato all’associazione o al movimento politico di De Gregorio. La somma di un milione e mezzo invece è stata corrisposta in contanti antecedentemente all’anno 2008/2009. Mi risulta che solo il Lavitola ha consegnato a De Gregorio la somma in contanti di 450, o 500 mila euro nella sede del Parlamento. Assistetti all’operazione. Ricordo che stavo con De Gregorio nell’ufficio quando si presentò Lavitola con una borsa che sapevo era piena di soldi. Quando Lavitola entrò, De Gregorio mi chiese di uscire. Dopo, quando rientrai, la scrivania di De Gregorio era piena di soldi».
A riscontro di quanto affermato dall’ex senatore circa i suoi rapporti con Berlusconi, viene citato il verbale di un altro collaboratore, Marco Capasso. Di fronte ai pubblici ministeri cita «i momenti più eclatanti dell’avvicinamento operato da Lavitola» e poi dichiara: «Uno fu quando De Gregorio era ricoverato presso una clinica di Roma per una colica renale e si presentarono Lavitola e Berlusconi per dargli un segno di amicizia e vicinanza. De Gregorio, ringalluzzito da questo fatto, nonostante la colica renale appena patita, andò in Senato a votare contro il governo. Eravamo nel 2007 e la notizia venne riportata dai giornali».
Gli incontri
ad Arcore
Chiedevano tutti soldi a Berlusconi. Nell’elenco c’è anche Carmelo Pintabona, incaricato da Lavitola di contattare il Cavaliere mentre lui era latitante. Interrogato dai magistrati, Pintabona conferma di essere andato due volte ad Arcore «il 5 gennaio 2012 e il 31 gennaio 2012 per parlare della situazione di Lavitola e chiedere cinque milioni di dollari in prestito».
La richiesta, sostiene, gli fu negata «perché Berlusconi mi disse che i suoi legali gli avevano sconsigliato di dare i soldi a Lavitola, altrimenti avrebbe commesso un delitto».
Fulvio Bufi
Fiorenza Sarzanini
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