«La giustizia venga digitalizzata Solo così tempi e costi minori»
Per questo per la prima volta un centinaio di dirigenti dei magistrati, degli avvocati, dei cancellieri e delle università mettono da parte attriti tra mestieri e microconflitti tra territori, e lanciano alla politica un «Manifesto per la giustizia digitale».
Al nuovo esecutivo — che sia destinato a nascere monocolore di minoranza o di «larghe intese» o di scopo o «del Presidente» — chiedono di inserire nel miniprogramma questa scelta di fondo, preliminare a tutte le altre in termini di funzionalità , per far diventare la giustizia «non un peso per il Paese ma un momento di crescita e sviluppo», attraverso il «replicare e diffondere e fare diventare quotidianità le eccellenze» già oggi sperimentate in alcune sedi per «ridurre i tempi della giustizia, migliorare la qualità e abbassare i costi di accesso».
A mettersi insieme, firmando l’appello, sono presidenti di Tribunali come quelli di Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze e Catania; undici Ordini degli Avvocati (compreso Napoli), più l’Unione Triveneta e quella Lombarda degli Ordini; i rettori del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone, e della Federico II di Napoli, Massimo Marrelli, con professori di 10 università , tra i quali Sergio Chiarloni e Carlo Guarnieri; il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio; molti dirigenti amministrativi di cancelleria e il presidente della loro Associazione nazionale, il triestino Renato Romano; esperti di organizzazione giudiziaria come Emilio Bartezzaghi, Federico Butera o Stefano Zan; vertici di Procure (come Michele Di Lecce a Genova e il vice Giovanni Melillo a Napoli) e di uffici Gip (come il vice Claudio Castelli a Milano). E poi il consulente giuridico della Commissione Europea, Luca Perilli, il giudice della Corte penale internazionale dell’Aia, Cuno Tarfusser, il presidente dell’Associazione studiosi del processo civile, Federico Carpi, il componente Csm Mariano Sciacca.
Il «Manifesto» è la fotografia perfetta della schizofrenia di un assetto giudiziario nel quale, all’interno di una stessa sede come ad esempio Milano, possono convivere il Processo civile telematico più avanzato d’Italia e il Registro generale penale più vecchio e instabile, sempre più a un passo dal collasso definitivo con conseguenze disastrose, e tuttavia mai sostituito dai pur tante volte annunciati nuovi sistemi operativi. Così tutti i firmatari ricordano al nuovo legislatore e al futuro governo che ad esempio «i problemi del Processo civile telematico» (all’avanguardia anche rispetto all’Europa nelle città dove comincia a funzionare, ma tartassato da blocchi sempre più frequenti e pesanti) «non sono tecnologici: l’obbligatorietà a partire da giugno 2014 rischia di rimanere sulla carta, di diventare un obiettivo formale e di trascinarsi di proroga in proroga in assenza di un piano strategico e di un impegno consapevole e collettivo di tutto il mondo della giustizia». Così come, accanto alle «difficoltà da vincere sugli investimenti», occorre «riorganizzare il lavoro di tutti gli operatori, ristrutturare anche fisicamente le cancellerie, incentivare l’uso dell’informatica tra i professionisti. E adeguare la normativa e la regolamentazione processuale, superando senza paura codici pensati per penna e calamaio».
Luigi Ferrarella
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