«La crisi non aspetta, il Paese si dia un governo»
ROMA — Che il discorso avrebbe toccato anche lo snodo politico oggi decisivo, lo si è capito quando Napolitano ha rivolto un augurio «ai membri del futuro esecutivo», dando così per scontato che non ci aspetta un nuovo voto ma un nuovo esecutivo. Sembra una cosa da niente, però quel preambolo era studiato per introdurre — e rendere pubblico — l’obiettivo della sua navigazione nelle prossime settimane: «Questo è un momento complicato per il nostro sistema democratico e per il Paese… I problemi urgenti e le questioni di fondo che riguardano l’economia, la società , lo Stato, non possono aspettare, devono ricevere risposte e dunque richiedono che l’Italia si dia un governo ed esprima uno sforzo serio di coesione».
Lo si interpreti come un allarme, un incoraggiamento o un esorcismo, il richiamo del presidente della Repubblica è chiaro e conferma che non intende arrendersi agli scenari catastrofisti di chi vede unicamente le urne, nel futuro prossimo, e quindi già si attrezza a continuare la campagna elettorale. Non sarà così, è l’avvertimento. Non possiamo permettercelo, dal momento che la crisi non va in stand-by, anzi. Per cui, tranne nel caso che dalle consultazioni al Quirinale escano inimmaginabili sorprese, le sue mosse dovrebbero seguire il percorso di cui da qualche giorno si discute. Tutto lascia cioè prevedere un primo incarico esplorativo a Pier Luigi Bersani, segretario di un Pd che ha conquistato una vittoria dimezzata.
Se quel tentativo, da aprire e chiudere in pochi giorni, dovesse evaporare per una conferma dell’indisponibilità del Movimento 5 Stelle, come appare certo, una subordinata c’è, per Napolitano. Una sola, fondata sul senso di responsabilità dei partiti e che potrebbe avere soltanto l’orizzonte breve di una fase di transizione. E, dopo quanto ha detto ieri, nessuno può credere che il capo dello Stato non ne voglia verificare le chances. È quella di un incarico a vocazione maggioritaria per formare un «governo del presidente», o per meglio dire istituzionale, che dovrebbe traghettarci oltre l’emergenza, proponendo davanti al Parlamento un programma fondato su un numero limitatissimo di provvedimenti (per far ripartire l’economia e migliorare subito «la vita quotidiana della gente») e sulla riforma della legge elettorale. A guidare e comporre un simile esecutivo dovrebbero esserci personalità di forte caratura istituzionale, in grado di coagulare la «seria coesione» evocata ieri, a margine della «Giornata della donna». Sì, quelle provvisorie, larghe intese che fanno venire l’orticaria al centrosinistra.
Certo, perché un simile sforzo abbia qualche possibilità di successo serve un’aria diversa da quella che si respira adesso. Ossia il «clima disteso e collaborativo» di cui ha fatto cenno il presidente, ricordando che il suo settennato «non è mai stato al riparo da tensioni e da bruschi alti e bassi» eppure, nonostante tutto, «siamo riusciti a superare i più acuti momenti di crisi e rischi di scontro sul piano istituzionale». Bene, «dobbiamo riuscirci anche stavolta», è il suo pressing per ridurre le distanze e superare lo stallo. Un banco di prova per le auspicate convergenze sono le scelte dei vertici di Camera e Senato, adempimenti che precederanno il consulto sul Colle e che dovrebbero scattare dal 15 marzo. Ecco il primo passo. Irto di ostacoli anche per effetto degli ultimi guai giudiziari di Berlusconi e dei riflessi che stanno producendo tra quanti tentano un negoziato.
Le ipotesi e illazioni che rimbalzano tra giornali e tv (tra le quali perfino quella — davvero estrema — di un Napolitano che, a scadenza di mandato viene incaricato di guidare lui un governo speciale), mettono comprensibilmente a disagio lo staff del presidente. Che liquida questa rincorsa come fuorvianti «fantasie». Si preferirebbe un po’ di silenzio, insomma. Magari come quello che si sono imposti da martedì i cardinali, e il raffronto con ciò che intanto accade Oltretevere non è poi così improprio, visto che sul Colle hanno avuto casa trenta pontefici, in passato. «A Roma sono in corso due conclavi. Uno finirà prima… speriamo che ci lasci un po’ di spirito santo». Ecco la battuta con cui lassù si sdrammatizza, ma non troppo, questo passaggio.
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