L’ira di Grillo: chi ha tradito si dimetta

by Sergio Segio | 17 Marzo 2013 7:42

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ROMA — Lo sguardo scorre sui ranghi impietriti dei senatori grillini (intanto c’è Pietro Grasso che quasi accenna un inchino, allarga le braccia, e l’applauso così cresce, ci sono le grida di evviva che rotolano dai banchi del Pd, c’è una piccola bolgia di allegria che travolge l’emiciclo di Palazzo Madama).
Vito Crimi, il capogruppo del M5S, è però pallido nonostante le luci gialle dei lampadari, ha gli occhi socchiusi, lentamente abbassa la testa.
Luis Alberto Orellana, che il M5S aveva candidato alla presidenza del Senato, si morde il labbro, stringe i pugni.
Ornella Bertorotta si asciuga una lacrima.
Nunzia Catalfo fa un gesto con la mano, come di chi vuol scacciare un pensiero brutto.
Vincenzo Santangelo si siede, esausto.
I grillini ora sanno cosa è la politica. Cosa significa confrontarsi, scegliere, litigare, decidere, votare e dividersi.
Perché si sono divisi.
Lo sanno, lo sapevano da prima di entrare in Aula, che sarebbe accaduto: adesso c’è la certezza dei numeri. Almeno dieci di loro, e forse undici, e magari dodici — dipende dal tipo di calcolo che si effettua sul voto segreto — hanno voluto eleggere Pietro Grasso. Lo hanno votato nonostante l’ordine di Vito Crimi, e si suppone l’ordine di Beppe Grillo e Casaleggio — Crimi è stato per venti minuti filati al cellulare — fosse quello di votare «scheda bianca».
Avreste dovuto sentirlo, Crimi (al voto finale mancavano ancora un paio d’ore). «Noi non facciamo la stampella di nessuno». E, naturalmente, inutile insistere, chiedere. Lui subito molto sprezzante, molto grillino. «Dovete rispettarci! Cos’altro vorreste sapere, eh? Noi siamo diversi, dagli altri! Noi ci stiamo andando a riunire… Noi decideremo per alzata di mano!».
Vanno su, al terzo piano di Palazzo Carpegna. Da tre giorni, in attesa di avere ciascuno la propria stanza, i grillini hanno scelto di fare base nell’aula della commissione Agricoltura.
Entrano, sbarrano la porta (altro che trasparenza, altro che diretta streaming).
Cinque minuti. Ed ecco che cominciano a rimbombare voci alterate. Molto alterate.
Una cronista appunta pezzi di frasi eloquenti. «Dobbiamo mantenere la nostra linea…» (sembra la voce dello stesso Crimi). «Ma guardate che Grasso è una persona perbene!». «Basta! Dobbiamo evitare che la presidenza del Senato vada a uno come Schifani!».
Esce Bartolomeo Pepe (quello che a La Zanzara, su Radio24, disse: «Bersani? Un assassino. Con lui, nessun accordo!»). È nervoso, racconta che sono soprattutto i sei senatori eletti in Sicilia (Francesco Campanella, Mario Giarrusso, Vincenzo Santangelo, Nunzia Catalfo, Fabrizio Bocchino e Ornella Bertorotta) «a spingere per Grasso… temono che l’agevolare un eventuale ritorno di Schifani non gli sarebbe perdonato sulla loro isola». Ornella Bertorotta, in effetti, scrive su Facebook: «Libertà  di voto. È questo che abbiamo deciso».
Esce anche Andrea Cioffi.
Questo senatore napoletano è sempre tra i meno ruvidi con noi cronisti (stavolta parlava però con voce tremante).
«Ci siamo confrontati…».
Avete litigato.
«Litigato? Mah… No… Cioè… Vedete… Io…».
Avete litigato, si è sentito da fuori.
«Eh… la verità  è che noi siamo ancora… noi siamo come dei bambini… bambini che non hanno esperienza».
La riunione è durata un’ora abbondante. Molti senatori grillini l’hanno vissuta con l’Ipad acceso, leggendo il dibattito che, contemporaneamente, è deflagrato sul web. Un dibattito assai controverso. Prima, i militanti sembravano spingere verso una scelta, auspicando un voto in favore di Grasso; poi, improvvisamente, non appena Grasso è stato proclamato presidente della Camera, il senatore a vita Emilio Colombo ha letto i numeri della votazione e s’è intuito che l’elezione era avvenuta anche grazie al voto di alcuni senatori del M5S, il tono dei militanti è mutato radicalmente.
Su Facebook e Twitter toni sprezzanti. «Venduti alla prima occasione!». «Vergogna!». E insulti, addirittura, a Grillo, sul suo blog.
Lui, alle 23,03, risponde con un messaggio: «Nella votazione di oggi è mancata la trasparenza. il voto segreto non ha senso, l’eletto deve rispondere delle sue azioni con un voto palese. Per questo vorrei che ogni senatore del M5S dichiari come ha votato».
Poi, la conclusione, praticamente un ordine: «Nel codice di comportamento del M5S al punto “trasparenza” è scritto: votazioni in Aula decise a maggioranza dai parlamentari. Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo, spero ne tragga le dovute conseguenze».
Molto chiaro, vediamo ora che succede.

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