L’Imperatore & Margherita

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Il padre di Marguerite Yourcenar aveva un tatuaggio sul braccio. Una parola greca: Ananke, necessità . Ananke è la dea del destino, del fato inalterabile, regina dei culti misterici, in particolare quelli dedicati ad Orfeo. Una divinità  implacabile e severa. Se dovessimo indicare un rito del quale la scrittrice Yourcenar fosse la perfetta ancella, non potremmo avere dubbi. Pochi artisti hanno servito un destino con tanta dedizione, si sono votati con tanta ostinazione e passione a un argomento, un uomo, un angolo di storia. «Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo», scrive Flaubert parlando di Adriano, e la giovane Yourcenar fece di questa frase la poetica di una vita intera.
Lo racconta una mostra dal titolo Adriano, l’antichità  immaginata (da oggi al 3 novembre alla Villa Adriana di Tivoli; la monografia che la accompagna sarà  pubblicata da Electa a fine aprile). Documenti, carteggi, ricordi, interviste, ma soprattutto alcuni preziosi quadernetti neri, dentro i quali la scrittrice ha raccolto, negli anni, cartoline di statue greche e romane. Venere, Adriano e soprattutto lui, Antinoo. Il ragazzo amatissimo, nato nel villaggio di Mantinium al confine tra Bitinia e Paflagonia (l’odierna Turchia), compagno di caccia, di giochi. Fedele fino alla morte, misteriosa. Qualcuno scrisse che il favorito dell’imperatore affogò nel Nilo, altri che si sacrificò per placare gli dei. Alla sua morte, Adriano, inconsolabile, lo trasformò in una divinità . «Ho imposto al mondo questa immagine: oggi, esistono più copie dei ritratti di quel fanciullo che non di qualsiasi uomo illustre, di qualsiasi regina. Sulle prime, mi stava a cuore far registrare dalle statue la bellezza successiva d’una forma nel suo mutare; in seguito, l’arte divenne una specie di magia, capace di evocare un volto perduto», scrive Yourcenar nella voce dell’imperatore.
Di quelle copie, di quei ritratti, lei stessa diventa a sua volta cacciatrice. Ce ne sono di meravigliosi, raccolti nei due quaderni Antinoà¼s e Portraits hadrianiques: L’Antinoo Silvano conservato al Museo Nazionale romano, l’Antinoo Braschi nella Rotonda dei Musei Vaticani, l’Antinoo Vertumno… e tutti i busti di Adriano, piluccati dai musei di mezzo mondo. Raccontare, ricomporre l’immagine. E infine, dall’esilio americano, per non farsi travolgere dalla malinconia, Youcernar si fece lei stessa Adriano.
Ma andiamo con ordine. Michel de Crayencour, padre della scrittrice – la quale scelse per sé un nome d’arte, «pour se regarder du dehors et à  l’impersonel», che era un anagramma di quello vero – era un uomo colto e affascinante. Crebbe la figlia da solo, dal momento che la moglie era morta di setticemia in seguito al parto. La istruì come un maschio, a dodici anni la giovane Marguerite conosceva già  il latino e il greco, e la portò con sé nei suoi Grand Tours. In Provenza, ma soprattutto in Italia dove insieme visitarono numerosi siti archeologici: il Foro romano, Pompei, Ercolano… Nel 1924, come dimostra una delle fotografie esposte alla mostra di Tivoli, i due sono a Villa Adriana. Marguerite è una ragazzina, «l’àªtre que j’appelle moi vint au monde un certain lundi 8 juin 1903, vers les 8 heures du matin, à  Bruxelles…», scrive nella sua “autobiografia”, la trilogia Le Labyrinthe du monde. Ma subisce già  la seduzione dell’antichità , e il suo destino comincia a dipanarsi. L’Ananke, la necessità : tirar fuori l’eternità  dal transitorio, l’immutabile dalla contingenza, da ciò che sempre fugge. Roma, ma soprattutto la Grecia, l’arte e la filosofia greca.
A vent’anni dunque, comincia a raccogliere immagini, a riempire i suoi quaderni. Prende appunti, segna, da qualche parte, queste parole: «Mon cher Marco…» Poi lascia stare. In quegli anni scrive altri racconti, altre storie. La vita segue traiettorie strane, e per quanto un destino sia segnato, non sai mai quanto tempo ci metterà  a compiersi. C’è la vita, per esempio. Yourcenar si imbatte in passioni che la distraggono. Incontra André Fraigneau, giovane scrittore omosessuale, intorno al quale imbastisce una confusa relazione sentimentale che la scompiglia. Pubblica un romanzo, Alexis o il trattato della lotta vana, e alcune raccolte di racconti, senza troppo successo. Non sa bene cosa fare, quando finalmente conosce Grace Frick. Con lei si trasferisce nel 1939 in America, nella casa di Petite-Plaisance, nel Maine. Qui, mentre riceve dall’Europa notizie della guerra, insegna letteratura francese e si immalinconisce. Fin quando il 24 gennaio 1949, riceve un baule contenente alcuni effetti personali custoditi per anni in un albergo svizzero e, seduta davanti al camino, ritrova un foglio che inizia con «Mon cher Marco…». E lo fa diventare l’incipit del romanzo che la rese celebre, ricca e stimata.
Siamo nel 1951, ci sono voluti quasi trent’anni perché la ragazzina che passeggiava col padre per Villa Adriana, riuscisse a scrivere la storia dell’amatissimo imperatore. Memorie di Adriano uscì in Italia soltanto nel 1963, nell’accuratissima traduzione di Lidia Storoni Mazzolani, per Einaudi. Dopo che una casa editrice napoletana, Richter, ne aveva pubblicata una versione aggiustata e involgarita, con una copertina sulla quale era riprodotta una bruttissima versione della lupa capitolina color rosso sangue, nella speranza di trasformarlo in un prodotto più popolare. Fu la traduttrice a occuparsi di far ritirare quell’edizione dal mercato, guadagnandosi per sempre l’amicizia e il rispetto della scrittrice, testimoniati in un lungo scambio epistolare.
A Memorie di Adriano seguirono altri libri, tra cui L’opera al nero e Quoi? l’eternitè, e nel 1980 l’accoglienza, prima donna della storia, tra gli accademici di Francia. Ma soprattutto, negli anni trascorsi insieme a Grace, i viaggi infiniti. L’Odissea di un’anima malata di inattualità .


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