by Sergio Segio | 12 Marzo 2013 10:02
BERLINO — L’Europa ci dà un pessimo rating anche per quanto riguarda la pubblica istruzione. Il sistema va riformato a fondo. I suoi difetti si ripercuotono pesantemente sulla produttività , sull’economia e sugli sbocchi professionali dei nostri laureati e diplomati superiori. Insomma, una delle radici della disoccupazione giovanile, quella sfida che Mario Draghi la settimana scorsa ha definito “una tragedia”, è nel nostro sistema scolastico e universitario. O almeno, così ha raccontato alla
Sà¼ddeutsche Zeitung Andreas Schleicher, esperto di pubblica istruzione dell’Ocse (organizzazione dell’Onu per la cooperazione e lo sviluppo economico). Chiamato anche “Mister Pisa” perché ideatore del Programma per la valutazione internazionale degli allievi della stessa organizzazione.
È un paradosso, dice Schleicher guardando le nostre scuole e i nostri atenei: nel paese che ospita l’università più antica del mondo, il sistema non funziona. Il cahier des doléances di Schleicher è una lunga lista di accuse. Primo, nella maggior parte degli altri Stati membri dell’Ocse la gamma di offerte di lauree e specializzazioni è più ampia che da noi. E nei paesi più avanzati — la Germania solo in parte, di più e meglio i paesi scandinavi, a cominciare dalla Finlandia col sistema scolastico, tutto pubblico, giudicato il migliore del mondo, e dalla Norvegia — offrono un contatto strutturale e che funziona bene tra lo studio teorico, accademico e la pratica della formazione professionale. «L’Italia», dice Schleicher, «è rimasta legata molto a lungo a un sistema classico, tradizionale, di studi universitari, per questo il numero dei laureati e diplomati non è cresciuto come in altri paesi».
Siamo rimasti decisamente al di sotto della media nell’Unione europea, nota l’esperto con i dati dell’organizzazione alla mano. Più precisamente, quanto a numero di laureati e diplomati solo la Turchia nell’ambito europeo ha risultati peggiori dei nostri.
Ed ecco, almeno secondo “Mister Pisa”, i mali strutturali più gravi del nostro sistema d’istruzione e le loro cause. Primo, molti laureati e diplomati superiori non trovano un’occupazione, o vengono pagati poco e male, «perché le università danno una preparazione accademica, non preparano ad avere successo sul lavoro». Secondo, a differenza che in molti altri paesi europei «non c’è aiuto finanziario dello Stato agli studenti, nulla di paragonabile a sistemi come il Bafà¶g tedesco (che prevede l’erogazione di borse di studio in base al reddito di appartenenza) o quelli scandinavi». Terzo, comunque lauree e diplomi «sono irrilevanti sul mercato del lavoro
». Poi un altro difetto strutturale: «Il personale insegnante è numeroso ma poco qualificato rispetto alle esigenze di una società e un’economia moderne». A lungo termine, ammonisce, «si crea un legame tra qualità del sistema della pubblica istruzione e capacità economiche di un paese». Il solito invito rivoltoci a imitare i tedeschi? No, piuttosto finnici e norvegesi: «Hanno un sistema educativo differenziato, personalizzato, molto attento al singolo, sponsorizzato dalle aziende, e rafforzato dalla convinzione della gente che è opportuno continuare a studiare e imparare per tutta la vita».
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