L’appello di Kerry: «Fate presto, serve stabilità »

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ROMA — Dietro i cancelli chiusi di Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma David Thorne che fu suo compagno d’armi in Vietnam, il segretario di Stato americano John Kerry ha rivolto una raccomandazione. A un gruppo di invitati ristretto e rappresentativo di più settori della politica italiana, il democratico che acquisì notorietà  mondiale sfidando George W. Bush nelle presidenziali del 2004 ha fatto presente: la stabilità  è un grande «value», un gran valore, in questi tempi di crisi finanziaria quasi planetaria, perché nel mondo ci sono già  «turmoil», subbugli, a sufficienza. Dunque, ha aggiunto, secondo quanto appreso dal Corriere, prima il vostro Paese trova una soluzione per far nascere il prossimo governo e meglio è.
Potrebbe essere fuorviante aspettarsi piani dettagliati e grandi accordi di geometrica solidità  in una colazione che metteva intorno a un tavolo anche dirigenti politici di partiti schierati l’uno contro l’altro la settimana scorsa in campagna elettorale. Alle volte il mondo e gli Stati Uniti sono più sperimentali, più portati a procedere per aggiustamenti progressivi di quanto induca a credere una mitologia consolidata. Nel secondo giorno della sua visita in Italia, dentro la villa del XVI secolo che i capi della missione diplomatica degli Usa accreditati presso il Quirinale usano come residenza a Roma dal 1933 Kerry ha chiesto di sbrigarsi, e al tempo stesso ha rivolto numerose domande per chiarirsi le idee.
A tavola, c’erano due ex presidenti del consiglio che hanno curriculum adeguati per ambire alla presidenza della Repubblica: Romano Prodi, Massimo D’Alema, entrambi di centrosinistra, senza Giuliano Amato che non si è visto benché fosse stato invitato. Oltre a Thorne, Kerry e diplomatici dell’ambasciata, c’erano il segretario del Pdl Angelino Alfano, l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini che ha lasciato il Pdl e il Parlamento ed è uno dei candidati per il posto di segretario generale della Nato. Poi tre ministri tuttora in carica: Giulio Terzi, degli Esteri; Giampaolo Di Paola, della Difesa; il montiano Enzo Moavero Milanesi degli Affari europei. Con un personaggio in teoria fuori della politica e tuttavia, secondo una delle tante ipotesi in circolazione, possibile presidente del Consiglio dopo Mario Monti: Ignazio Visco, il governatore della Banca d’Italia.
Schivo, più taciturno di tutti, non soltanto di D’Alema che era molto pronto a prendere la parola, di Prodi che è stato circostanziato nello spiegare le difficoltà  del Mali in guerra e di Alfano, al quale un diplomatico ha domandato come restituirebbe l’Imu agli italiani, Visco è intervenuto quando qualcuno ha evocato per l’Italia l’eventualità  di nuove elezioni in rapida successione come in Grecia, lo Stato europeo più piegato dalla crisi. Adesso, ha evidenziato Visco, da noi non si vedono problemi di tenuta perché le riforme di questo anno e mezzo hanno messo al riparo i conti pubblici. Quella italiana, si è premurato di dire al segretario di Stato il governatore, non è la situazione della Grecia.
È però la situazione di un Paese che non vede all’orizzonte la sagoma della sua prossima maggioranza di governo nonostante siano passati giorni dalle elezioni di domenica scorsa. Quorum parlamentari prima a portata di coalizione sembrano irraggiungibili a causa dell’emorragia di voti subita dai partiti principali a vantaggio del Movimento 5 Stelle. Nessuno avrebbe demonizzato questa forza che debutterà  alle Camere, anzi soprattutto Prodi e D’Alema hanno mostrato disponibilità  al dialogo. Thorne ha informato gli ospiti che la sua ambasciata e suoi diplomatici studiano da tempo le mosse e i propositi della formazione di Beppe Grillo.
Del resto, era intuibile da quanto Kerry aveva dichiarato ai giornalisti in mattinata. «Praticamente qui tutti hanno espresso la volontà  di riforma e di cambiamento», ha osservato il capo della diplomazia americana in una risposta preparata in anticipo per prevedibili domande sul voto italiano. «Change» per i democratici statunitensi è una parola positiva e familiare. «Siete in un momento storico. Avete avuto elezioni che hanno espresso al suo massimo la democrazia, la quale è salda (…) Per noi l’Italia un partner forte, un’economia in transizione e rimarrà  un partner forte per Usa e Unione europea», ha sostenuto Kerry evitando di drammatizzare. Il suo amico e già  cognato Thorne, in precedenza, aveva ammesso che il risultato elettorale è complicato.
In cerca di certezze, nel pomeriggio Kerry è andato a Palazzo Chigi da Mario Monti, il presidente del Consiglio preferito dall’Amministrazione di Washington e ha confermato la fiducia in lui: «A nome mio e di Obama desidero dirti che ti siamo molto grati: ti sei trovato di fronte a decisioni difficili da prendere e te ne siamo molto grati». Altro messaggio indirizzato a chi avrà  titolo per le scelte sul futuro dell’Italia, Paese amico che traballa anche se dichiararlo non conviene.


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