L’altra carta del leader: una Convenzione per riforme bipartisan

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ROMA — «Ragazzi, poteva anche andare peggio»: il segretario del Pd, con i fedelissimi, ha voluto sdrammatizzare con questa battuta l’esito dell’incontro con Napolitano.
In realtà  il colloquio non è stato facilissimo, anche se, ad avviso di Bersani, «non è andato male». Il leader del Pd si è sentito rinfacciare certe «forzature» fatte per ottenere l’incarico pieno in modo da arrivare in Parlamento senza prima passare per il Quirinale. Ma nel Monopoli della politica italiana di questi giorni quella casella non la si può saltare. Incarico sì, ma con l’obbligo di riferire al Colle prima di tentare l’avventura dell’esame delle aule. «Sono prudente», diceva ancora ieri sera, scaramantico, Bersani.
Il segretario del Partito democratico ha tutta l’aria di uno che intende fare sul serio. «Ci vuole un governo politico, a questo punto, per come è messa la situazione», ha ribadito con i suoi. Il che non esclude che nell’esecutivo immaginato da Bersani vi siano anche tecnici, come, per esempio, Saccomanni. I nomi dei possibili ministri il leader del Pd li ha già  in mente, ma in questo momento quello che importa non sono le persone, bensì «le cose da fare». E anche su quello Bersani sembra avere delle idee ben precise. Le ha confrontate con il capo dello Stato, il quale gli ha chiesto di non tirare giù la saracinesca con il centrodestra in modo definitivo, perché il governo è una cosa, ma la normale dialettica istituzionale è un’altra. Perciò Bersani si è ripromesso di seguire quello che lui definisce «un doppio binario». Da una parte c’è il governo del Paese e, soprattutto, dell’emergenza economica e sociale che attanaglia l’Italia. Dall’altra ci sono le regole e le riforme delle istituzioni che riguardano tutti i partiti, di maggioranza o di opposizione che siano. «Abbiamo sempre detto — è stato il ragionamento di Bersani — che questa sarebbe stata una legislatura costituente e non abbiamo certo cambiato idea. Quindi in Parlamento si può dare vita a una Convenzione che si occupi di cambiare la legge elettorale, ridurre il numero dei parlamentari e trasformare il Senato in una camera delle autonomie. È un compito che spetta al Parlamento, ovviamente, ma il governo può fare da stimolo propulsivo».
Una «Convenzione», dice Bersani. Traguardo ambizioso che rimanda alla «Convenzione» per antonomasia, quella che dal 1792 al 1795 elaborò la Costituzione della nuova Repubblica francese. Ma Bersani non ha mai nascosto il suo pensiero: «Il Paese è in uno stato tale per cui c’è bisogno del massimo impegno: questa crisi può essere un’occasione per rilanciare l’Italia». E il Parlamento e la Convenzione possono essere i luoghi dove confrontarsi con il Pdl, che dice di volere la riforma elettorale o con la Lega, che aspira a trasformare il Senato in una Camera delle autonomie.
Ciò non significa, però, che Bersani abbia cambiato idea sull’ipotesi di governare con il centrodestra: «Noi non appoggeremo mai nessun governo, di qualsiasi tipo e natura, in cui ci sia il Pdl e non il Movimento 5 Stelle». Su questo Bersani è disposto, ad andare alla conta interna. È pronto a vedere le carte dei renitenti al voto: Matteo Renzi, Dario Franceschini ed Enrico Letta. Con lui ci saranno i «giovani turchi», perché, come dice Orfini: «Un governo con il Pdl e senza grillini sarebbe il nostro suicidio». Il partito, è probabile, si dividerà . Ma su questo Bersani, almeno al momento, non sembra voler fare passi indietro: «La stabilità  per il nostro Paese è importante, ma non si esaurisce tutto nella governabilità : ci vuole pure il cambiamento».


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