La Via crucis di Napolitano abbandonare la nave ora ultima carta contro la deriva
ALMENO la Via Crucis di Papa Francesco, proprio ora in diretta mondiale tv, si sa come va a finire. Quella di Giorgio Napolitano no. Quattordici stazioni, colloqui interminabili col solito Berlusconi tracotante e con i due neofiti dell’integralismo a cinque stelle che dondolano da una gamba all’altra mentre ripetono i loro no, con Maroni annoiato e vagamente canzonatorio dietro gli occhiali a colori.
CON Vendola invano appassionato di politica e non di calcoli, con Letta statista, stasera, chè Bersani non è venuto e tocca a Enrico Letta ammainare in conto terzi la bandiera del pre-incarico. Poi le telefonate, intanto, e le consultazioni con gli esperti di cavilli e le agenzie di stampa portate sul vassoio dai commessi, le dichiarazioni e le voci che prendono corpo su carta, nero su bianco, prego Presidente legga questo: Napolitano ha deciso di dimettersi anticipatamente, Napolitano ha richiamato dall’estero Giuliano Amato, Napolitano sarà rieletto giusto per il tempo necessario a sciogliere le Camere, ha in tasca il nome che piace ai cinquestelle. È Rodotà , no c’è Renzi che si scalda a bordo campo, no il Presidente ha in mente il ministro Cancellieri perché l’unica cosa che c’è da fare subito è la riforma della legge elettorale. Non c’è chi non veda, infatti, che andare a votare con questa legge sarebbe un disastro inammissibile, lo dice anche Letta uscendo dalle consultazioni, e poi c’è il mondo che guarda, non si può abbandonare la nave che affonda, non ci si può dimettere nel momento della difficoltà suprema, il fantasma di Terzi quello di Schettino, ma invece è la mossa politica vincente, si vede che non capite la politica, invece dal Pd c’è qualcuno che preme perché il presidente lasci, così si esce dallo stallo e le Camere dovranno trovare un’intesa sul nuovo inquilino del Colle, che poi l’intesa è già trovata, in fondo, ecco, la soluzione è questa, prima il Quirinale poi il governo così si inverte l’ordine dei fattori e si esce dall’impasse in cui Berlusconi ha chiuso il Pd.
Questo, per tutto il giorno. Un impazzimento di voci e di ipotesi ma niente di certo, nessuno che sappia davvero di cosa sta parlando, nessuno che tenga conto del fatto che Napolitano davvero è stanco, che non sembra affatto una schermaglia di diplomazia istituzionale l’indisponibilità a un reincarico, basta ascoltarlo durante l’ultimo dei colloqui del giorno, l’ultima stazione del venerdì di passione.
Stanco, dolente, preoccupatissimo ed esausto, afflitto da dolori non solo metaforici. Così l’hanno trovato gli ultimi a colloquio con lui subito prima che le porte del corridoio alla vetrata si richiudessero, che i corazzieri se ne andassero e che il portavoce dicesse sulla soglia “servirà ancora qualche momento di riflessione”. Due giorni, ha sentito dire qualcuno. Una notte, ha sentito qualcun altro. La decisione lunedì di Pasqua, no, no, già domattina di sabato.
A ciascuno la sua croce. Mentre il nuovo papa porta quella millenaria il capo dello Stato, unica autorità istituzionale in questo momento in grado di guidare in porto la barca allo sbando, porta la sua. Comincia di buon mattino, al telefono e in colloqui informali. Poi con la prima delegazione, alle 11: Brunetta e Alfano, Berlusconi e Schifani. Il compito che Napolitano si è dato è quello di ripercorrere e verificare l’assenza di maggioranza numerica e politica di cui Bersani gli ha riferito il giorno prima. Il segretario del Pd non ha rinunciato, il presidente non ha revocato l’incarico: lo affiancherà , in quello che somiglia a un commissariamento per il buon fine dell’opera. L’unica cosa certa, a sera, è questa: il supplemento di indagine di Napolitano liquida il tentativo di Bersani, che esce di scena. Materialmente, fisicamente: il segretario Pd non è a Roma, non sale al Colle: è tornato a casa a Piacenza, dicono. Lo cercano, le telecamere piazzate sotto casa, nessuno lo vede. La smaterializzazione di Bersani corrisponde all’avvio di quello che da settimane i cronisti parlamentari chiamano il Piano B. La situazione però è più complessa del previsto e si tinge di nuove preclusioni, nuovi impedimenti. In sintesi: Berlusconi vorrebbe allearsi col Pd e con Monti per fare un governo insieme, così che poi al momento della scelta del nuovo presidente della Repubblica anche quello si debba scegliere insieme. Il Pd però non vuole allearsi con Berlusconi. Meno di tutti lo vuole Sel giacchè, dice Vendola, Berlusconi è tra l’altro protagonista della “cospirazione vigliacca che ha portato alle dimissioni di Terzi”. Tra l’altro, e da ultimo. Il Pd e Sel sarebbero forse pronti ad allearsi coi cinquestelle, ma i cinquestelle non vogliono allearsi col Pd. Dicono cose come “legiferare senza governo”, Grillo chiama al telefono Napolitano, poi sul suo canale La Cosa insulta tutto e tutti, i suoi capigruppo ondeggiano sulle gambe davanti ai microfoni ripetendo che l’unico governo possibile è il loro ma un nome non lo fanno. L’incarico, come si sa, va dato però a una persona, non a un gruppo politico. Siamo daccapo a zero, con l’unica interessante novità di giornata: il Pdl non vuole nessun tipo di governo tecnico, piuttosto si vada alle urne. No a un governo del presidente, insomma. Saccomanni, Onida, Cancellieri. No. E’ da qui – da quello che Vendola chiama “il pantano” – che si leva la voce delle dimissioni anticipate di Napolitano. Una parte della sinistra sarebbe anche d’accordo, si mormora. Il presidente è molto indispettito, dice per contro la fonte simmetricamente opposta sebbene nella stessa metà campo. Le ore passano, la croce pesa. Si cade, ci si rialza. Entrano per ultimi Letta nipote e i due neocapogruppo Zanda e Speranza. Lungo colloquio, estenuante ma chiaro. Enrico Letta esce diritto come un fuso e dice due cose: primo, con questa legge elettorale non si può tornare a votare. Secondo, esprimiamo profonda gratitudine e fiducia piena nelle decisioni che il presidente prenderà nelle prossime ore, che “non mancheremo di sostenere responsabilmente”. La profonda gratitudine sana i dissidi interni degli ultimi giorni. Il sostegno responsabile, qualunque sia la decisione, è una professione di fiducia in bianco. Sciogliere le camere adesso è impossibile, per ragioni istituzionali (Napolitano in scadenza non può) e di opportunità politica: non con questa legge al voto. Dunque, sarà un governo del presidente. Senza i voti del Pdl ma con quelli del Pd e forse di Monti, forse di una parte dei cinquestelle ma forse persino con una parte di pidiellini, anche: dipenderà dal nome che nella notte di passione Napolitano deciderà di proporre. In alternativa, davvero, restano solo le dimissioni del capo dello Stato. Chi conosce bene Napolitano sa che questa, ora che la barca senza timoniere è alla deriva, è per lui la scelta davvero più difficile da prendere. Lo farebbe solo se fosse l’unica via d’uscita per il Paese, se fosse convinto – dati alla mano, scenari certi all’orizzonte – che sia questa l’unica manovra possibile, per quanto rischiosa e dolorosissima, per condurre in porto la nave. Per chiudere con Pasqua la via Crucis e pensare che una resurrezione, da questo calvario, per la politica italiana – per l’Italia – è possibile.
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