by Sergio Segio | 22 Marzo 2013 8:20
Le cose per fortuna stanno cambiando, anche in Italia. Il nuovo amministratore delegato di Microsoft si chiama Carlo Purassanta: è giovane, gira in jeans e scarpe da ginnastica ed è tornato in Italia dopo sedici anni in giro per l’Europa. È tornato, ha trovato il National Plan di Microsoft che puntava a contattare ventimila studenti e favorire la nascita di mille startup e ha detto: non basta. Il nuovo piano della multinazionale è contattare duecentomila studenti e promuovere diecimila startup: «Non è follia, l’Italia è uno dei paesi che ha meno investito in tecnologia e innovazione, se lo farà possiamo creare 500 mila posti di lavoro sani», ha detto ieri a Roma aprendo Codemotion, un evento che mette assieme migliaia di giovani sviluppatori. Gente che pensa che sviluppando software e hardware si possa cambiare il mondo.
La strada per arrivarci non è larghissima: nonostante l’impegno del governo Monti su questo settore (una task force per la startup, un report ben fatto, una piccola parte del decreto Sviluppo dedicata), i risultati sono modesti: al neonato registro delle startup si sono iscritte poco più di 300 startup. Pochissime. Segno che la burocrazia è ancora un ostacolo clamoroso per chi vuole partire con una nuova impresa. «Lo spread con Berlino è anche questo» racconta Arianna Bassoli. Lei è la fondatrice di Frestyl e per un anno ha lavorato nel team del ministro dell’innovazione Profumo: «Pensavamo di cambiare il mondo stando finalmente dentro il governo, poi ci siamo accorti che è un po’ più difficile ». Per questo intanto ha portato la sua startup a Berlino dove gli affitti sono bassi, gli spazi di coworking nascono ovunque e la concentrazione di innovazione è altissima.
La ricerca del lavoro perduto non riguarda solo l’Italia: è tutta l’Europa che ha capito che deve impegnarsi di più su questi temi. Che non riguarda solo il fatto di farsi un sito web o sviluppare una app per il telefonino: il digitale riguarda anche il modo in cui si producono le cose — con le stampanti 3D — , e si rendono intelligenti, magari con un microcomputer sviluppato in Italia: Arduino. È la rivoluzione dei makers, alcuni dicono che sarà la terza rivoluzione industriale e un momento per capire se si tratta di dilettanti smanettoni o nuovi imprenditori sarà la Maker Faire che a ottobre arriva a Roma per mettere in mostra i migliori innovatori europei.
È il momento delle scelte forti. Qualche giorno fa la solita Kroes ha lanciato la Grande Coalizione per formare i nuovi lavoratori digitali di domani: presto i posti vacanti per mancanza di persone adeguate saranno 900 mila. Una cifra che è uno schiaffo per tutti davanti al numero crescente di disoccupati europei. Alla metà di giugno a Dublino è prevista una sessione speciale dell’Unione Europea dove ogni Stato dovrà portare proposte concrete. L’Italia che farà ? Per esempio una delle cose che potrebbe fare è imitare il presidente degli Stati Uniti Barack Obama che a gennaio, nell’ambito di un rivoluzionario provvedimento dedicato ai temi della immigrazione, ha introdotto il visto per gli startupper: uno strumento per attrarre i migliori innovatori del mondo spianando loro la strada per fare impresa in America. Il tutto parte da un ragionamento: Steve Jobs aveva un padre siriano, Sergey Brin viene dall’ex Unione Sovietica, Jeff Bezos ha ascendenti cubani e più in generale il 56 per cento delle startup di successo negli Stati Uniti sono state fondate da immigrati. La fine del tunnel si vede. C’è scritto: Startup Italia!
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