by Sergio Segio | 25 Marzo 2013 7:47
Sia chiaro, dedicare più giorni all’ascolto delle rappresentanze del lavoro e dell’impresa è una scelta meritoria, il guaio è che appare figlia di una strategia a zig zag.
Se la costruzione di un governo, come è giusto che sia, parte dalla ricognizione dei problemi e di conseguenza dal profondo disagio che attanaglia la società italiana, bisogna allora essere coerenti e privilegiare i contenuti del rilancio economico sulle pregiudiziali politiche. Se invece un giorno si tenta di agganciare i cantori della decrescita felice e l’altro si coltiva l’idea di far approvare dal Parlamento l’ineleggibilità di Silvio Berlusconi la contraddizione è palese. Non si mette davvero l’economia reale al centro ma la si subordina a indirizzi politici scelti a priori. Del resto la vecchia lettura dei partiti come nomenclatura delle classi non ha più alcun senso e avendo anche gli operai votato più per il Pdl che per il Pd non si può proprio dire che il retroterra sociale dei due schieramenti richieda soluzioni alternative tra loro. Pur avendo Grillo rimescolato le carte è evidente che il Pd conserva una maggiore presa sugli insegnanti della scuola pubblica, i lavoratori dipendenti, i ceti medi riflessivi. Di converso il Pdl trova con maggiore facilità il consenso dei lavoratori autonomi, degli imprenditori di taglia media e piccola, delle casalinghe. Ma quelle che in passato sono state disegnate come «due Italie contrapposte», in epoca di emergenza economica e di altissima pressione fiscale non differiscono molto tra loro e alla fine convergono sulle stesse priorità (sostegno ai consumi, ossigeno alle filiere produttive, ripresa dell’occupazione giovanile). E allora forse converrebbe partire da queste considerazioni di buon senso, mettere giù una base programmatica per il rilancio economico e aggregare attorno ad essa il più largo favore delle forze sociali. In questo modo si dribblerebbe l’accusa di cercare diversivi e si produrrebbe una confortante sintonia tra Paese reale ed equilibri politico-parlamentari. Va detto anche che le forze sociali arrivano all’incontro con Bersani con le ossa malconce. Lo tsunami grillino le ha scombussolate e ora faticano persino a ritrovare il bandolo della loro azione. L’attacco di Grillo alla società di mezzo e l’insediamento del Movimento 5 Stelle come cavallo di Troia nella cittadella del consenso di operai e artigiani rende difficile per associazioni e sindacati ripartire come se niente fosse accaduto. Qualche dirigente nei primi giorni ha provato a dire che il programma dei Cinquestelle «è musica per le orecchie degli artigiani» ma non l’aveva letto, qualche altro leader della rappresentanza sta progettando portali per far dialogare gli iscritti ma nessuno ha finora mostrato il coraggio di sfidare i grillini in campo aperto. Le poche parole che sono state spese dopo le elezioni sono state (giustamente) finalizzate a cercare di sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese. Ma è chiaro a tutti che i tempi dell’economia oggi non combaciano con quelli della politica e il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, con la sua consueta schiettezza è stato lapidario: «Siamo vicinissimi alla fine».
p.s. Ma visto che non c’è tempo da perdere invece di usare tre giorni per farsi ricevere da Bersani non sarebbe stato meglio stilare un documento comune e consegnarlo tutti assieme?
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