by Sergio Segio | 30 Marzo 2013 9:00
A oltre un mese dal voto non esiste alcuna prospettiva concreta di formare un governo. E l’unica vera assunzione di responsabilità potrebbe essere quella del presidente della Repubblica: le sue dimissioni costituiscono allo stato l’unico grimaldello in grado di scardinare lo stallo di questo Parlamento. Napolitano potrebbe infatti essere costretto a interrompere in anticipo il suo settennato per riconsegnare al Quirinale l’arma delle elezioni anticipate.
Il punto è proprio questo: il semestre bianco impedisce al capo dello Stato anche solo di minacciare il ritorno alle urne. E in un clima tanto esacerbato quella facoltà è ormai divenuta indispensabile. Soprattutto di fronte alle condizioni inaccettabili che reciprocamente gli schieramenti si stanno ponendo. Le formule che in questi casi vengono immaginate per superare l’impasse si sono esaurite nel giro di pochi giorni. Il “governo di minoranza”, quello “tecnico”, quello “istituzionale” o l’“esecutivo del presidente” sono state ipotesi che si sono via via affacciate e sistematicamente archiviate. La vittoria del centrosinistra alla Camera e la “non-sconfitta” al Senato si è insomma rivelata fatale. La coalizione di Bersani può ancora oggi contare sulla maggioranza assoluta a Montecitorio e su quella relativa a Palazzo Madama. Ma sono numeri inutili. O meglio inutilizzabili in questo quadro politico. La pessima legge elettorale, il Porcellum, ha esaltato tutti i suoi difetti. Immaginata diabolicamente in un sistema bipolare, ha in realtà agito in un contesto quadripolare provocando un effetto paradossale. Con un elettorato tanto frastagliato, il sistema politico è sostanzialmente impazzito. Non c’è un solo partito che si avvicina al 50% dei voti. Esistono solo delle minoranze. Conseguenza: nessuna certezza di una maggioranza e di un governo stabile.
Il tutto acuito dalle posizioni dei due schieramenti principali. Il centrodestra continua a non essere spendibile all’interno di un modello nordeuropeo: le larghe intese che pochi anni fa si sono realizzate in Germania e che di recente hanno contribuito a risolvere una lunga crisi in Olanda. La presenza di Silvio Berlusconi blocca qualsiasi ipotesi di collaborazione. L’opinione pubblica di centrosinistra e la base del Pd non sarebbero in grado di sostenere un patto politico con il Cavaliere, con il suo conflitto di interessi, con i suoi guai giudiziari e con il modello culturale proposto dalle sue televisioni negli ultimi 30 anni. E del resto l’ex premier punta soprattutto a salvare se stesso prima che l’Italia puntando dritto alle elezioni anticipate.
Ma lo stesso tipo di “blocco” è determinato dal Movimento 5Stelle. Incapace di elaborare una linea politica che non sia esclusivamente distruttiva. I parlamentari del M5S non appaiono autonomi nelle loro scelte: costantemente intimoriti e orientati dai diktat spesso deliranti di Beppe Grillo. Eterodiretti dall’esterno e alla ricerca di una “rivoluzione” dai contorni indistinti e spesso preoccupanti.
Nel Pd, poi, scatterà presto una vera e propria resa dei conti. Il segretario democratico rischia di dover presto fare i conti con le correnti interne che lo accuseranno di non aver vinto le elezioni pur in presenza di condizioni considerate favorevoli. Nei mesi scorsi Bersani aveva annunciato le dimissioni, sia in caso di vittoria sia in caso di sconfitta, ed è quanto sottovoce molti nel suo partito iniziano a chiedere. Sapendo che tra poco partirà la gara per la nuova premiership e che già un candidato, Matteo Renzi, è sceso in pista.
Questo, dunque, è il quadro che si trova di fronte Napolitano. Le ultime speranze il capo dello Stato cercherà di coltivarle nella giornata di oggi. Proverà per l’ultima volta a rimuovere i veti incrociati, a verificare se una qualche maggioranza possa formarsi a sostegno di un governo anche di corto respiro. Magari per affrontare le prime emergenze del Paese – a cominciare da quelle economica e sociale – , per consegnare una legge elettorale che finalmente assicuri stabilità e soprattutto rappresentanza, e quindi tornare al voto nel giro di pochi mesi. In caso contrario le sue dimissioni saranno inevitabili e subito si aprirà la corsa alla successione. Che, sulla base dei numeri e della incomunicabilità tra schieramenti, vedrà in pole position un esponente del centrosinistra. Pd, Sel e Scelta civica, infatti, possono contare sul quorum per eleggere il successore di Napolitano o per confermare il presidente uscente. Ed è forse questa l’unica minaccia che Bersani può agitare nei confronti di Berlusconi. Ma per il momento le consultazioni del Quirinale non sono riuscite a registrare nemmeno uno spiraglio e la strada che porta all’immediato voto anticipato sembra aver imboccata una discesa irrefrenabile.
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