La morte di Chà¡vez «È stato contagiato dai nostri nemici»

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RIO DE JANEIRO — Era tornato nel suo Venezuela per morire, una decina di giorni fa, dopo una quarta e inutile operazione a Cuba. Hugo Chà¡vez Frias, presidente del Venezuela dal 1999, è spirato ieri pomeriggio a Caracas, quando in Italia erano le 23. Avrebbe compiuto 59 anni il prossimo 28 luglio. L’annuncio in catena nazionale è giunto dal suo vice Nicolas Maduro, scoppiato in lacrime durante il discorso. Era dunque serio e imbattibile il tumore che ha colpito Chà¡vez per la prima volta nel 2011, e sul quale a tutt’oggi non esiste una informazione medica ufficiale. Ma esperti concordano che si è trattato di un raro sarcoma, iniziato nella regione del bacino e poi finito per metastasi a colpire altri organi.
La Costituzione del Venezuela prevede che i poteri passino temporaneamente al presidente del Congresso Diosdado Cabello il quale dovrebbe indire nuove elezioni entro un mese. Poiché Chà¡vez è morto da presidente in carica a tutti gli effetti — non ha mai ceduto i poteri, nemmeno temporaneamente durante la malattia — il Venezuela entra adesso in una delicata situazione di diarchia. Perché l’erede designato da Chà¡vez è Maduro, ed è lui che si dovrebbe presentare alle prossime elezioni alla guida del Psuv, il partito socialista. Cabello e Maduro rappresentano le due anime distinte del chavismo che tenterà  di sopravvivere al suo creatore: militare il primo, politico e legato all’ideale socialista il secondo.
La notizia è piombata su Caracas nel tardo pomeriggio, e non era attesa dai fedelissimi più accaniti del regime, il quale per due anni ha sempre minimizzato la gravità  della malattia di Chà¡vez. Si sono notati movimenti di mezzi dell’esercito, in prossimità  del centro e dell’ospedale dove il presidente era ricoverato. Ma in generale la situazione nelle strade è tranquilla. Ad alzare i toni negli ultimi giorni sono stati gli uomini del governo, scatenati contro l’opposizione, con l’obiettivo di ricompattare il popolo chavista e prepararlo alla cattiva notizia.
Poco prima dell’annuncio di Maduro, si è tenuta una riunione definita politico-militare, una sorta di «comitato rivoluzionario» chiamato a rispondere a presunti «attacchi cospirativi nazionali e stranieri», come li ha definiti il vice di Chà¡vez. Si è approfittato per attaccare l’opposizione, nella figura del suo leader Henrique Capriles, accusato di essere volato a New York a prendere ordini dal nemico imperialista. Due funzionari dell’ambasciata Usa sono stati espulsi «per aver contattato militari venezuelani in attività , con propositi destabilizzatori». Poi l’ipotesi del tumore arrivato dall’esterno, iniettato a Chà¡vez come fosse un virus: «Noi non abbiamo dubbi — ha detto Maduro —. E arriverà  l’ora buona per creare una commissione medica che confermerà  l’attacco al nostro leader. Noi abbiamo le prove». A Chà¡vez, dicono seriamente al vertice del governo venezuelano, «potrebbe essere successa la stessa cosa che a Arafat, ucciso dai suoi nemici». Il Dipartimento di Stato Usa ha replicato con sdegno: «Assurdo».
Dalle fila del chavismo la parola più usata è ora «unidad». La si chiede ai militanti e la si garantisce dai vertici del governo e del partito. L’opposizione, dopo la buona prova alle ultime presidenziali, appare nuovamente disorientata. Troppo deboli i suoi argomenti davanti all’onda emotiva che si erge dal fronte opposto. La scomparsa di Chà¡vez avrà  probabilmente una ripercussione fuori dal comune su alcuni Paesi vicini. Con rare eccezioni, il leader venezuelano ha attirato le simpatie di tutti i leader dell’America Latina, sia quelli beneficiati dal suo petrolio e dalle politiche internazionaliste (Cuba, Bolivia, Ecuador e Nicaragua), sia quelli legati da affinità  ideologiche. Ieri lo hanno pianto con parole fraterne il brasiliano Lula e l’argentina Kirchner, tra gli altri. Da Washington Barack Obama si è augurato l’inizio di «una nuova relazione con il popolo venezuelano. Gli Stati Uniti sono interessati ad aprire rapporti costruttivi».


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