by Sergio Segio | 12 Marzo 2013 12:04
I bambini sono il bersaglio ideale delle guerre. Eccitano l’odio furibondo che provoca la libertà allegra dei cuccioli. Sono piccoli, pretendono di offrire un futuro ai nemici, sfidano la mira dei cecchini. Nelle guerre civili, e tutte ormai sono guerre civili, i grandi trionfano sui bambini nemici, e si compiacciono del dolore per i corpi violati e uccisi. Le retrovie delle guerre sono rifornite dalle immagini opposte dei bambini. Il nuovo rapporto dell’Unicef sulla “generazione perduta” della Siria documenta le migliaia di vittime, in gran parte bambini, e i milioni di esuli e sfollati, di ogni parte. Vittime di armi e bombe, di abusi sessuali, di torture, separati violentemente dalle loro case e famiglie, privati delle scuole, esposti a malattie e stenti. Giordania, Libano, Iraq, Egitto, Turchia (e, attraverso la Turchia, la Grecia) “ospitano” centinaia di migliaia di rifugiati bambini. Le immagini dei loro occhi spalancati devono servire a toccare il mondo in cui i cuccioli sono al caldo. E’ giusto che sia così, quando non ci si pieghi ad amare i propri bambini a costo di odiare i bambini degli altri.
Andranno ad aggiungersi alla sterminata sequela di figure infantili in cui si compendiano le guerre e le catastrofi. Il piccolo del ghetto di Varsavia dalle mani alzate, fotografato dai suoi aguzzini, persuasi che avrebbero riguardato compiaciuti quel documento della loro vittoria, mentre le vittime a lungo se ne sarebbero vergognate, come di un certificato della propria debolezza. Altre facce e corpi di bambini con le mani in alto stanno nella fila arresa dalla quale il bambino in primo piano si è staccato e quasi sperduto. Così, la bambina nuda bruciata dal napalm corre su una strada vietnamita insieme a quattro altri piccoli: ha la bocca come un buco nero e gli occhi pieni di terrore. Si chiamava Kim Phuc, aveva nove anni, attraversò un infinito calvario chirurgico, si rifugiò in Canada, diventò madre di due figli e ambasciatrice dell’Unesco. In ogni viso di bambino siriano che varca in braccio a suo padre la frontiera o raccoglie la sua misurata razione d’acqua in un campo di tende nel deserto c’è forse un futuro di vendicatore, forse di ambasciatore dell’Unesco.
Nella striscia di Gaza, un operatore riprese un uomo che cercava di fare scudo col corpo al suo piccolo, Mohammed al Durah, dodici anni. Nel 1972 si era accostata l’immagine di Kim Phuc a quella del bambino del ghetto. Ora qualcuno disse che il piccolo Mohammed l’aveva cancellata: ma una controversia senza fine mise in discussione l’origine della sparatoria, e la stessa morte del bambino. Le immagini fotografiche e filmate affratellano infatti le vittime, ma le oppongono anche, in una prosecuzione della guerra civile con altri mezzi, micidiali anche loro. Ci sono bambini destinati al “martirio” da padri e madri, bambini strappati a padri e madri per addestrarli al massacro, con addosso kalashnikov e machete troppo pesanti, oppure mutilati delle mani, perché non possano più impugnare un machete o un kalashnikov. Centinaia di migliaia di bambini soldato, fin da sei, sette anni, in Africa, in Asia, in America Latina. Bambine rese schiave sessuali: basta picchiarle e violarle. Coi bambini maschi si fa come coi cani da caccia: si spara accanto alle loro orecchie per abituarli a non avere paura. I cani e i bambini continuano ad aver paura, ma fingono di no, per non dispiacere agli uomini da caccia, e per non prenderne le bastonate. Gli uomini amano soprattutto la guerra, cioè la caccia all’uomo, e insegnano ai bambini a farla per loro conto. Li drogano, li addestrano a bagnarsi nel sangue, li mandano a far saltare coi loro passi leggeri i campi di mine. I bambini sono seri e vogliono fare le cose bene, come ordinano i grandi. I superstiti, coi loro moncherini e l’anima ustionata, proveranno a ricordarsi che cosa voglia dire essere bambino.
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2 milioni
Due milioni i bambini sui 4 milioni di siriani coinvolti dal conflitto, 800mila i bimbi sui 2 milioni di siriani che hanno abbandonato le loro case
500.000
Mezzo milione di bambini siriani si trovano nei campi profughi di Libano, Turchia, Egitto, Iraq e Giordania, secondo il rapporto Unicef
Un bimbo siriano a un funerale: questa foto e le due in basso a sinistra vengono dal rapporto Unicef “Crisis in Syria”
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