LA DEMOCRAZIA SENZA PARTITI

by Sergio Segio | 4 Marzo 2013 9:24

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Ieri i neoeletti rivoluzionari 5 Stelle hanno avviato i preparativi per aprire il Parlamento «come una scatoletta di tonno», all’apparenza incuranti della drammaticità  del momento. Lui medita, soverchiato dall’immensa responsabilità  che gli tocca. Ma finora, dall’esterno, ha concentrato la sua vis polemica nel tentativo di frantumare l’ultimo partito che in Italia mantiene una significativa struttura nazionale, cioè il Pd. Altro che dialogo, collaborazione, alleanze. Grillo non demorde: Bersani è «fuori dalla storia»; e «quando si aprirà  la voragine del Monte dei Paschi di Siena forse del pdmenoelle non rimarrà  neanche il ricordo». La sua intenzione, a meno di un ripensamento, è estrema: ridurre anche il Pd a mero agglomerato di potentati locali, come di fatto sono già  le altre formazioni politiche.
Naturalmente s’impongono ottime ragioni per denunciare l’inadeguatezza burocratica degli apparati che sopravvivono alla crisi del sistema dei partiti. Lo stesso MoVimento 5 Stelle porta nelle istituzioni significative rappresentanze del solidarismo comunitario cresciuto in numerose vertenze territoriali, incomprese e respinte dalla forma-partito. Uno spirito civico, un’idea di pubblico, una spinta partecipativa che la politica non ha saputo riconoscere.
Ma resta, drammatica, la domanda: può esistere una democrazia senza partiti? O il vuoto che essi lasciano è destinato a essere riempito da un nuovo potere tecnocratico calato dall’alto? Se infatti è vero che la Repubblica italiana in sessantacinque anni non ha regolato l’articolo 49 della sua Costituzione, là  dove prescrive che i partiti devono agire “con metodo democratico”, non è un caso che risulti altrettanto inevasa l’attuazione del successivo articolo 50: “Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità ”. Quando mai le Camere si sono aperte alla legittima partecipazione dei cittadini?
Beppe Grillo non è un improvvisatore quando proclama, a pagina 79 del libro scritto con Dario Fo e Gianroberto Casaleggio (Il grillo canta sempre al tramonto, Chiarelettere): “Noi vorremmo che i partiti scomparissero radicalmente”. E difatti prosegue: “Lo so, molti potrebbero domandare: ma in Parlamento se non ci sono i partiti chi ci sarà ? Come può esistere un Parlamento senza i partiti? Ci saranno i movimenti, i comitati, tutte espressioni di esigenze che provengono dalla società  civile”.
Prima di liquidarlo come velleitario utopista o, peggio, come eversore, dobbiamo riconoscere che il suo pensiero si inscrive in un filone movimentista di antica tradizione giacobina, anarchica, pansindacalista: da Saint Just a Bakunin, a Sorel. Per oltre un secolo i movimenti rivoluzionari sono stati percorsi da questa contrapposizione fra partiti e anti-partito che talora ha assunto forme violente. Da ultimo il leader 5 Stelle ha voluto richiamarsi a un testo del 1940 di Simone Weil, uscito postumo col titolo
Manifesto per la soppressione dei partiti politici.
Poco importa che la giovane pensatrice francese l’avesse concepito in polemica col totalitarismo stalinista, nell’ambito di un dibattito sulle forme organizzative che avrebbe dovuto assumere la Resistenza all’occupazione nazista. Né importa che quel suo richiamo assoluto ai principi della Rivoluzione francese, degenerata nel Terrore, e allo scetticismo antidemocratico di Platone, già  avesse ispirato Maurras e i primi movimenti fascisti d’oltralpe. A Grillo interessa sostenere, con Simone Weil, che “ogni partito è totalitario in nuce”.
Per replicare all’idea M5S di una democrazia senza partiti, nei giorni scorsi è stato diffuso su Internet un filmato di Hitler che nel 1932 adoperava contro i partiti della Repubblica di Weimar un linguaggio molto simile a quello grillino: “Noi non siamo come loro! Loro sono morti, e vogliamo vederli tutti nella tomba!”. Ma sono schermaglie di scarso significato.
Sottoposto com’è a una sfida esistenziale, il Partito democratico, in special modo – per via delle sue finalità  sociali e dello stesso nome che porta – non può ignorare il trauma dei legami recisi con tanti protagonisti di conflitti economici, ambientali e civili. Non può liquidare come fenomeno di destra la confusa aspirazione a far senza questi partiti così malridotti. L’errore madornale del Pd è stato quello di proporsi la conquista di un voto moderato del tutto esiguo, anziché farsi interprete della radicalità  delle questioni etiche e sociali esplose nella Grande Depressione.
Salvaguardare il Partito democratico dal concreto pericolo di demolizione implica quindi una relazione aperta con il nuovo movimento antipartito. Fino ad aprirsi alle sue istanze partecipative che imporranno al Pd un ricambio generazionale e culturale del gruppo dirigente, oltre che una profonda mutazione organizzativa e di stili di vita. La difesa di una democrazia rappresentativa, come tale fondata sul pluralismo delle formazioni politiche, ma capace di dare voce nelle istituzioni alla partecipazione dei cittadini, nei prossimi anni si configura come l’unica risposta possibile ai diktat autoritari sempre in agguato, quando esplode la rivolta.
Se è vero, infatti, che il progetto di Grillo ha connotati teoricamente rivoluzionari, resta ben singolare la natura del suo movimento: a differenza di Occupy Wall Street e degli Indignados, fenomeni giovanili di critica radicale al sistema capitalistico, il M5S è stato concepito da due maturi benestanti. Sebbene abbiano già  raccolto intorno a sé la maggioranza della generazione under 40 sacrificata dal sistema, per ora la instradano in una sorta di lunga marcia nelle istituzioni. Contrariamente alle intenzioni dichiarate da Grillo e Casaleggio, è probabile quindi che per loro sia segnato il destino di dar vita a un nuovo partito. Per l’appunto, la nostra democrazia sopravvivrà  solo se dalle macerie nasceranno dei veri partiti democratici.

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