LA DEMOCRAZIA DEGLI INGENUI

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Per commentare quella che viviamo noi oggi, Barbara Spinelli si è servita su questo giornale dello scritto di José Saramago, il racconto della “catastrofe” di una democrazia sopraffatta dalla sua stessa grandezza di proposte e di ideali. In un’ impasse, tra Scilla e Cariddi: tra la speranza della grande innovazione e la macchinazione di un grande flop. Da un lato il genuino e semplice volere popolare di cambiamento; dall’altro il gioco del potere. La generosità  della democrazia lascia in ombra coloro che progettano il momento giusto per calare la carta del bluff. Numerose storie di democrazia in azione si sono dipanate secondo questa trama triste.
A metà  marzo del 1871, mentre si svolgevano in tranquillità  le elezioni e la città  di Parigi era sguarnita di forze dell’ordine, e tutto prometteva che la partita politica venisse giocata alla luce del sole, nell’ombra stavano accadendo le cose che avrebbero determinato il futuro della repubblica comunarda. Il governo di Thiers, che meditava la riconquista del potere, cercava e trovava il consenso di Bismarck, il leader tedesco che aveva interesse a mettere subito fine alla guerra contro la Francia perché temeva il contagio democratico oltre il Reno. Gli scenari erano preoccupanti. Da un lato la democrazia ingenua che moltiplicava i luoghi e i temi di discussione, rifuggiva dal coordinamento, praticava la comunicazione su ogni punto all’ordine del giorno, fino allo spasimo. Dall’altro gli uomini di potere, abituati a usare i mezzi del consenso e a mobilitare fedeli seguaci, di mettere in atto strategie astute, intravedendo spiragli di luce ai loro piani di rivincita. In questa impasse si consumò la riconquista di Parigi che mise fine alla democrazia ingenua: nel maggio del 1871 avvenne la firma del trattato di pace franco-tedesco che diede il via libera all’occupazione della città  da parte dell’esercito, antefatto di quello che sarebbe stato un massacro. Quella che doveva essere una repubblica democratica fu in poche ore una caccia all’uomo, una sommaria restaurazione.
Una storia a caso questa della fine tragica della Comune di Parigi – diversissima in tutto eppure così istruttiva per l’Italia di questi giorni, un paese che visto da fuori suscita ammirazione e grande attenzione, per aver saputo esprimere la propria volontà  elettorale in maniera così radicalmente libera e che tuttavia si mostra smarrito, vittima della sua stessa spavalda promessa di cambiamenti importanti. Vittima del partecipazionismo senza decisione. Dopo le elezioni, Francesco Merlo ha scritto su questo giornale che nonostante il fragore delle parole e la carriolata di voti che con il M5S hanno portato persone ordinarie e nuovissime in Parlamento, l’impressione è che tutto questo cambiamento non serva che a far tornare tutto come prima, a legittimare il nuovo vecchio.
Il rischio è che la democrazia appaia un agire senza costrutto, una perdita di tempo che alla società  costa sempre più caro. Pessimo servizio dei democratici alla democrazia. La responsabilità  degli eletti è enorme perché chi rende impossibile la formazione di un governo rende la democrazia una parola vuota e le fa un pessimo servizio. La sacrosanta volontà  che le elezioni hanno concretizzato viene disattesa, perfino sbeffeggiata, da questo esercito di eletti che, giunti promettendo la luna, non sanno arrendersi al fatto politico basilare che ogni decisione rompe l’unanimismo e richiede mediazione (a questo serve la regola di maggioranza). Essere eletti non significa fare un atto di testimonianza delle proprie idee. Significa e serve a fare succedere cose, a decidere. Il rischio di questa democrazia degli ingenui è che spalanchi le porte come altre volte in passato alla democrazia dei furbi, che ottenga l’opposto di ciò che vuole e ha promesso.


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