LA DEMOCRAZIA APERTA A TUTTI

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Con l’eccezione della Svizzera e, parzialmente, della Gran Bretagna, oggi i paesi europei finanziano, a vario titolo, i partiti politici. Come mai questo quasi unanime riconoscimento della opportunità  di sostenere economicamente la vita dei partiti?
Sostanzialmente perché, ovunque e non solo in Italia, i partiti si sono profondamente trasformati. Negli anni d’oro della politica di massa – gli anni Cinquanta – i partiti reclutavano e mobilitavano ampi strati della popolazione e traevano da loro forza, legittimità  e anche sostegno economico attraverso tanti piccoli contributi a cui se ne aggiungeva, eccezionalmente, qualcuno più sostanzioso. Le trasformazioni sociali e culturali dell’ultimo quarto del secolo scorso hanno ridotto la base di riferimento dei partiti e, di conseguenza, anche il flusso finanziario. Per questo i partiti si sono rivolti allo stato. Per poter mantenere in vita le loro organizzazioni avevano bisogno dell’intervento pubblico. In linea generale i partiti godono di finanziamenti sia diretti, per la loro vita ordinaria e per le attività  nelle istituzioni (rimborsi elettorali e contributi ai gruppi parlamentari e consiliari di vario livello), che indiretti.
Questi ultimi comprendono la concessione gratuita di beni pubblici (dalle sedi per promuovere iniziative all’accesso ai media, dalle spese postali ai contributi per la stampa), l’erogazione di contributi “vincolati” a specifiche attività  (come le fondazioni culturali tedesche attivate dalle varie forze politiche), e benefit fiscali di vario tipo.
La ragione di questa generosità  “universale” sta nel riconoscimento della funzione tuttora essenziale dei partiti: essi sono considerati – e di conseguenza normati per legge in tanti paesi – come delle “agenzie pubbliche” che svolgono per conto dello stato la decisiva funzione di aggregare e articolare il consenso dei cittadini presentando candidati alle elezioni. Affinché i partiti svolgano al meglio questa funzione di interesse collettivo devono essere sostenuti, anche economicamente. Il punto dolente è come e quanto.
In Italia i rimborsi previsti della legge hanno raggiunto livelli iperbolici, generando sprechi, corruzione e, infine e giustamente, un’onda di protesta. Ma il rimedio non è l’eliminazione del finanziamento che lascerebbe in mano a pochi, ricchi donors e a potenti lobby una capacità  di influenza esorbitante. La possibile soluzione, oltre ovviamente a maggiore parsimonia nei contributi pubblici, è quella del controllo delle spese e del loro vincolo a buone pratiche. Oggi i bilanci dei partiti sono più opachi di società  offshore delle Cayman; non esiste un organo terzo autorevole che li esamini; non esistono sanzioni pesanti come la decadenza dalla carica se un eletto supera il tetto delle spese consentite e certificate, adottata in Francia; non esiste nessuna connessione tra contributi e modalità  organizzative interne democratiche come in Germania. Il denaro non è “lo sterco del diavolo”: va utilizzato laicamente, adottando norme di stampo europeo che assicurino trasparenza e rispondenza dell’uso dei soldi ed anche della vita interna dei partiti.


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