by Sergio Segio | 29 Marzo 2013 8:21
Anche in questo nuovo libro di Giametta si parla delle cose ultime, di quelle su cui fin dalla più remota antichità si è fantasticato, ma se ne parla con una pacata tranquillità , senza la nevrosi stilistica e verbale di tanti filosofi, da Nietzsche ad Heidegger. Così questo libro che cerca di rispondere a domande temerarie è però un libro facile e leggibile, che porta serenità e non inquietudine. I problemi ardui che affronta insomma non ci ossessionano ma sono guardati direi con una dolce e persuasiva fermezza che a volte può apparire anche un po’ presuntuosa. Si sente che c’è dietro l’esperienza di chi «ha letto tutti i libri» e si sente che questi libri sono stati metabolizzati da una coscienza che coraggiosamente si espone con la propria individualità . Per analogia ho pensato a quegli esploratori che si addentravano nel cuore di un’Africa sconosciuta alla ricerca delle sorgenti del Nilo.
Qui le sorgenti sono quelle del pensiero e della conoscenza, ma lo spirito di avventura e la curiosità di sapere sono molto simili. Così ho letto questo libro come si legge un libro di avventura dove si incontrano sul proprio cammino non belve feroci, ma idee che richiedono, per essere affrontate, controllo della mente e cuore intrepido.
Mi esprimo in questo modo e faccio questi paragoni perché io non sono un filosofo e non ho una mente filosofica, ma i problemi ultimi mi appassionano come appassionano ogni uomo che vuol «seguir virtute e canoscenza». E lo dico anche per sottolineare che questo libro può leggerlo anche chi non è un addetto ai lavori. Nel retro di copertina ci sono gli interrogativi cui Giametta cerca di rispondere: ne consiglio la lettura perché è una buona introduzione.
Giametta si muove nel vasto mare della filosofia, percorso dalle correnti dei grandi pensatori, come un provetto nuotatore, con un suo stile e capacità di resistenza. La cosa più riuscita del suo libro è la scelta delle citazioni, che sono come tanti punti di appoggio al suo ragionare, quasi che ognuno dei grandi filosofi da lui consultati, da Nietzsche a Schopenhauer, da Spinoza a Kant, gli desse una mano per venire in suo aiuto, e non solo per sostenere una sua tesi ma anche per portare a buon fine un lavoro comune. E qui la voce dell’autore si unisce alle altre e «porta la sua pietruzza». Che però a volte è una pietruzza che si insinua temerariamente nell’ingranaggio del pensiero altrui — anche se appartiene a uno dei grandi maestri — e lo fa inceppare scoprendone le contraddizioni e rivelandole senza timore. Sente di poterlo fare perché spesso i sacri vasi di erudizione quando si tratta di capire le cose della vita e quindi della «filosofia sostanziosa» cadono nel «filosofese».
Quella voce dice anche di considerare Spinoza il creatore del sistema filosofico dell’Occidente, e lo difende dall’incomprensione e dalle ingiurie dei suoi pur amati Nietzsche e Schopenhauer. Dice che sei sono i suoi maestri, ma non si sottrae alla tentazione di criticarli e di proporre soluzioni diverse ai problemi da essi affrontati. Nel saggio «Come fu che intuii quello che avevo capito» racconta come scoprì che Nietzsche non era solo un filosofo, un moralista, un poeta, un profeta, uno psicologo, un diagnostico e un trasfiguratore della crisi europea (il «tramonto dell’Occidente»), ma anche un genio religioso accomunabile a Lutero.
Ma Nietzsche, secondo Sossio Giametta, sviò la sua creatività religiosa sulla strada sbagliata dell’eterno ritorno di tutte le cose, cadendo in un fatalismo deprimente. Sono queste «alzate di testa», insieme a tante altre, quelle che ho definito «pietruzze nell’ingranaggio», pietruzze che fanno però risaltare i tratti originali e a volte fin troppo personali di un «critico dei filosofi» come appare in questo suo ultimo libro Sossio Giametta.
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