La Cdp è un bene comune
Così Vito Gamberale, amministratore delegato del Fondo Italiano per le Infrastrutture (F2i) si è pronunciato in un convegno organizzato da Fondazione Energia lo scorso 19 febbraio. Non mancando di aggiungere che «il referendum ha portato a una decisione presa con emotività , con il risultato che in Italia nel settore delle ex municipalizzate c’è una bassa privatizzazione ed una scarsa concentrazione».
Ma quali sono i soggetti che concorrono a siffatto programma? Dentro F2i troviamo Unicredit e Intesa SanPaolo, Merrill Lynch, Fondazioni bancarie italiane e Casse di previdenza professionali, assicurazioni e fondi pensione.
Nonché, con il 15,99% del capitale sociale, la Cassa Depositi e Prestiti, ovvero chi gestisce il risparmio postale di oltre dodici milioni di famiglie il cui Ad non ha mancato di segnalare la piena condivisione da parte di Cdp.
Già dimostrata sul campo nell’autunno scorso con l’ingresso, attraverso il Fondo Strategico Italiano, nel capitale di Hera (multi utility emiliano-romagnola) per favorirne la fusione con la omologa Aps-Acegas di Padova e Trieste.
Impossibilitati a fare pace con la volontà espressa dalla maggioranza assoluta del popolo italiano nel referendum del giugno 2011, obbligati dalla crisi a reperire nuovi asset per i propri capitali finanziari e francamente infastiditi da una democrazia emotiva e poco razionale, governo e grandi lobby finanziarie provano ad aggirare il problema per via «tecnica» e procedendo per fusioni industriali.
Il dato tuttavia fondamentale è che per farlo utilizzano i soldi del risparmio postale dei cittadini e dei lavoratori, ovvero proprio di coloro che hanno votato per la riappropriazione sociale di acqua e beni comuni e per la gestione pubblica e partecipativa dei servizi pubblici locali. Per questo la campagna per la riappropriazione sociale della Casa Depositi e Prestiti, ai nastri di partenza, deve divenire l’obiettivo di tutte le vertenze aperte nel paese.
Ci ripetono ossessivamente che la crisi è generale e che tutte e tutti siamo chiamati a farcene carico; dobbiamo rispondergli che siamo d’accordo e che, proprio per questo, vogliamo essere noi a decidere dove e per quali finalità vanno investiti i 225 miliardi del nostro risparmio. La crisi è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai tecnici.
*Attac Italia
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