Ipotesi primarie con Renzi e Barca
ROMA — Dei due protagonisti del futuro del centrosinistra uno era assente, alla riunione della Direzione del Pd, perché non ha nemmeno la tessera in tasca, l’altro, invece, ha timbrato il cartellino per pochissimo tempo.
L’era del dopo-Bersani sembra approssimarsi, ma i discorsi che ieri aleggiavano nella sala del «parlamentino» del Partito democratico non oltrepassavano quella soglia. Si fermavano pochi centimetri prima per non inficiare il compromesso trovato dai maggiorenti di Largo del Nazareno. Solo Pippo Civati, alla fine dei lavori, ha ammesso apertamente che la fase è cambiata: «Non credo proprio che andremo alle elezioni con Bersani».
Sono Matteo Renzi e Fabrizio Barca i possibili sfidanti delle primarie che verranno. Il primo ieri ha fatto solo una capatina. Ha ascoltato il segretario, seguito l’intervento di Dario Franceschini (con cui dopo ha parlato un po’), ha chiacchierato con Walter Veltroni, quindi si è dileguato. Del resto, lo aveva già detto la sera prima ai collaboratori e ai parlamentari amici: «Andrò in Direzione giusto per dare un’occhiata, ma non parlerò. Quello che ho detto finora basta e avanza». E quello che ha detto è che «se ci sarà un secondo giro» lui rientrerà con «le primarie»: «Certo non mi faccio cooptare da quelli». Già , perché Renzi sa che di questi tempi, con i grillini che incalzano, sarebbe impensabile non ricorrere al voto dell’elettorato per scegliere il candidato alla presidenza del Consiglio.
L’altro protagonista del centrosinistra che verrà , Barca, non partecipa alla Direzione. Il ministro per la Coesione territoriale non si è nemmeno collegato in streaming per seguire la riunione. Aveva altro da fare: definire gli ultimi accordi di un contratto istituzionale Sassari-Olbia per dare una strada civile ai cittadini di quelle zone: «Ci sono stati ben 90 morti negli ultimi anni per le condizioni di quelle strade». Di lui si parla anche come del possibile premier di un governo del Presidente, ma Barca ha sempre smentito, almeno ufficialmente, di voler imboccare quella via. È un’altra la sua passione: «Mi voglio impegnare in politica», ammette. E lo affascina l’idea di «aggiornare la forma-partito».
Per Bersani il ministro «è una risorsa sia per il partito che per il governo». Per quella fetta del Pd a cui non piace Renzi potrebbe essere l’uomo da contrapporre al sindaco di Firenze. «Se Renzi si candida — spiega ad alcuni amici Matteo Orfini — noi dovremo per forza scegliere un candidato che contrasti la sua linea». E chi meglio di Barca? Il quale, peraltro, potrebbe arrivare a quella candidatura da una posizione di vantaggio (o di svantaggio, a seconda di come la guarda) rispetto al competitore Renzi. Infatti il ministro per la Coesione territoriale potrebbe essere eletto segretario del Pd, dal momento che Bersani ha più volte chiarito che lui non intende ripresentarsi al prossimo Congresso.
Ma nella riunione della Direzione non è giunta nemmeno l’eco di queste indiscrezioni, benché nei corridoi del Nazareno i dirigenti del Pd non parlassero d’altro. Anche perché il «parlamentino» con il suo esito prefissato non destava poi troppo interesse: sono stati in molti gli esponenti del partito che si sono allontanati all’ora di pranzo senza fare più ritorno in Direzione. La riunione, in effetti, è stata una tappa interlocutoria, che è servita solo a rinviare lo scontro interno di qualche settimana.
Scontro che, però, appare inevitabile, dal momento che ognuno interpreta l’esito della Direzione come più gli aggrada. Bersani non ha parlato di elezioni per ottenere i voti di quasi tutti, ma questo non significa che abbia cambiato idea. Con i suoi, ieri, ha ragionato così: «Io non potrò mai sostenere un Monti bis o un esecutivo tecnico o un governo del Presidente, con i voti del Pdl e del centro e senza quelli dei grillini. È inutile che mi vengono a dire che una di queste opzioni è necessaria per risolvere l’emergenza italiana: è vero il contrario, sarebbe un suicidio per il Paese. Come dimostra il fatto che nell’ultima fase di Monti eravamo alla paralisi. La strana maggioranza non può ripetersi, allora è meglio tornare alle urne».
Ma l’ipotesi di tornare al voto in tempi rapidi trova la contrarietà di molti nel Pd. Un nome per tutti, Walter Veltroni: «Sarebbe una pazzia», è il ritornello dell’ex segretario del Partito democratico che non nasconde la sua preoccupazione. Mentre Paolo Gentiloni insiste sull’opportunità di lascia fare al capo dello Stato. A cui si affidano ormai tutti quelli che guardano con più di una perplessità alla linea del segretario. Il quale però continua a dire ai collaboratori che una soluzione diversa dalle elezioni e dalla maggioranza con il Pdl potrebbe ancora esserci. Lui sembra crederci. E’ un’opzione che coinvolge i grillini. Non tutti, ovviamente, perché il segretario del Pd sa bene che questo non è possibile. Se il leader del Partito democratico va avanti con i suoi otto punti come se nulla fosse un motivo c’è. Una parte dei parlamentari grillini viene dalla sinistra, i dirigenti locali del Pd li conoscono, la maggioranza è vicina alle posizioni di «Giustizia e libertà ». È una fetta del Movimento 5 Stelle che in Senato potrebbe consentire al governo Bersani di ottenere la fiducia. Finora, i nomi di questi grillini sono «coperti», perché non vi è la certezza che l’operazione riesca. Certo, sarebbe un colpaccio per il segretario che tutti, o quasi, considerano ormai sul viale del tramonto.
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