by Sergio Segio | 6 Marzo 2013 9:02
Cina.net[1] è il risultato di una raccolta preziosa di informazioni che il ricercatore Ivan Franceschini ha collezionato dopo dedito ascolto e attente ricerche. Lo scrittore ha indagato per anni fra le vaste pareti dell’appartamento di una complessa società cinese. Nel libro raccoglie alcuni suoi scritti dal blog “Cineresie”[2] e molti altri approfondimenti, offrendo un primo quadro – spero di una lunga serie – di una società civile che su tappeti di rose senza petali, sta camminando verso attuali differenti orizzonti.
Quattro gli ambiti che l’autore affronta: “nuovi media[3]”, “lavoro e diritti”, “mattoni e miniere”, “stato e società ”. Abbiamo ripreso il primo capitolo in un’intervista con Franceschini.
Tutti trattano temi caldi – non solo al mondo cinese –, come ad esempio politiche sociali, diritti del lavoro, stato sociale, ecc. Tematiche che nel grande mainstream italiano – oserei dire Europeo –, spesso vengono omesse o mal reinterpretate, offrendo un’immagine di Cina troppo banale per essere colta, almeno in parte, nella caotica complessità che la contraddistingue. Oltre a raggruppare le fonti sopra citate, lo scrittore si rifà alle chiacchierate con persone, alle (s)comparse di articoli e opinioni online, ai microblog[4] e a tutte quelle informazioni attinte dal prezioso pozzo umano, di persone che come noi[5] si affacciano ad uno cyberspazio per intravvedere dissimili spiragli, o costruire ponti altrimenti impossibili.
I protagonisti del libro e del nuovo vento cinese impegnato ad edificare altre dialettiche sociali, sono la rappresentanza della società civile, enorme nei numeri ma divisa al suo interno, embrione di una massa o di un gruppo sociale che presto si spera di poter definire Civile. Soggetti che rivendicano “diritti basilari”, lavoratori che prendono coscienza della loro malsana situazione, neolaureati che combattono alla fiorente disoccupazione intellettuale. Lo scrittore accende i riflettori anche sulle fornaci e sul meccanismo perverso per il quale persone scompaiono per riapparire in un altro mondo, di sfruttamento e vergogna. Lo fa senza cristallizzarsi su rigide posizioni di “giusti” o “sbagliati”, ma cercando di comprendere la realtà oggettiva dei fatti – fin dove possibile farlo -.
Fra le pagine di Cina.net viene anche narrato dei “tempi duri delle ong” e di come queste devono muoversi all’interno del palcoscenico giuridico cinese. O ancora di coloro che operano per il governo, “il partito dei 50 centesimi” per citarne uno, noto per il suo ruolo di manipolatore dell’informazione. Fino a poco tempo fa era etichettato per via del guadagno a cottimo, pari appunto, a cinque volte dieci centesimi di Yuan. Un gruppo di veri e propri “commentatori prezzolati”.
I “netizen”[6] in Cina sono chiamati anche “Amici della rete”. Indubbiamente, mi dice Ivan, quelli cinesi si differenziano da noi nei numeri[7] (oggi sono quasi mezzo miliardo). Piuttosto che fra il nostro “popolo della rete” e “il loro”, le differenze si possono meglio trovare all’interno di uno o dell’altro. Quello cinese rispetto al nostro è molto più diversificato, al di là della sua estensione. Si può considerare un’entità consapevole della propria identità di “gruppo”, rappresentata per atro dall’immagine del cavaliere errante, che sovente si vede galoppare fra le pagine web.
Una bolla telematica che si estende come seta al vento, ma limitata dal monopolio del server di quella che una volta era una città proibita. Ma cosa significa censura in Cina?[8] Può essere – ho chiesto – una sorta di marketing strategico che in modo circolare arriva e parte da e per una legittimazione politica?
Censura significa blocco delle informazioni, niente di nuovo in questo. Prima del 2008 – anno di ferite tibetane – è stata sicuramente la modalità prevalente. Successivamente le autorità cinesi hanno preferito la manipolazione. Come si legge nel libro, ci sono tre tipi di censura. Il blocco, appunto, “la guida dell’opinione pubblica” che altro non è se non una “manipolazione attiva delle informazioni” e infine, altro mezzo molto utilizzato dal governo di Pechino, “l’intimidazione giudiziaria”, che il nome stesso rimanda ad agevoli spiegazioni.
Lo stesso popolo della rete è una legittimazione per il governo cinese: rappresenta sia un’apertura verso sistemi democratici, sia un modo per dare prestigio ai vertici della leadership politica. Il netizen, attaccando i livelli dei vertici politici più bassi, da potere a chi da una vetta più alta e potente scende in valle per risolvere le controversie diffuse nella vetrina telematica. In sostanza è il governo che si muove e che si legittima, in una ragnatela dove le palle palleggiano spinte dal basso e rilanciate con forza dall’alto.
Poco più di un mese fa si è conclusa in modo positivo l’indignazione manifestata[9] dai giornalisti del “Nan Fang Zhou Mo”,[10] a seguito di un editoriale “scomodo” censurato. Questo fatto e atri simili, ricorda Franceschini, non sono validi motivi per iniziare ad essere più ottimisti di quanto in realtà ci si sta sforzando di essere.
Dal fronte governativo invece, è di qualche giorno fa il festeggiamento dei primi cento giorni[11] di nuova leadership al comando. È ancora troppo presto però per capire i prossimi venti che usciranno dall’arena politica di Pechino. Con la generazione precedente sono serviti degli anni per vedere come la censura ha e sta “armonizzando” il web. Dopo le Olimpiadi la situazione non è di certo rosea e diversamente è da considerarsi piuttosto priva di ragioni che “mi portino ad essere ottimista”.
Cina.net chiarisce le molteplici sfumature che animano il “Chinanet”[12] e la globalità di alcuni temi alla base delle turbolenze della crescita dell’attuale società cinese.
L’autore si interroga. Lo fa prima di iniziare, durante e alla fine di questo affascinante viaggio. Molti i suoi dubbi che non risposte sposano e che altre domande originano. Un matrimonio genitore di scenari poco fiduciosi, dove contrasti fra proliferazione e blocco mettono spesso alla prova la nostra capacità di comprendere l’oggi cinese.
Francesca Bottari[13]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/03/il-web-in-cina-sovversivo-o-conservatore/
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