Il timore di manovre nel partito Il leader vuole blindare il «dopo»

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ROMA — «L’ho già  detto: il sentiero è stretto, ma io sono intenzionato a percorrerlo fino in fondo». Parola di Pier Luigi Bersani, per il quale, però, andare avanti non equivale a cadere in un precipizio.
Per questa ragione il segretario del Pd decide di coprirsi le spalle e convoca la Direzione per domani. Perché vuole non solo il sostegno di tutti, ma anche l’impegno a tenere la porta sbarrata a ogni tipo di governo con il Pdl, un impegno che deve valere anche per il «dopo», nel caso in cui il leader non riesca nel suo tentativo. Insomma, Bersani vuole prevenire strane mosse all’interno del Pd. I renziani, per esempio, non fanno mistero di quello che pensano: «Sono convinto che non si possa dire di no a eventuali altre proposte di Napolitano», dice Graziano Delrio. Parole simili a quelle che Renzi affida ad alcuni deputati amici: «Non ci possono essere soluzioni a cui noi diciamo di no pregiudizialmente e poi, sinceramente, io non credo a nuove elezioni». Con parole molto diverse, ma con intenti non troppo dissimili Beppe Fioroni afferma: «Dobbiamo avviare questa legislatura, non possiamo farla saltare».
Il segretario parrebbe quindi avere più di un motivo per prevenire le possibili manovre interne. I «giovani turchi» che in questo periodo hanno avuto con il leader alti e bassi su una linea del genere si schierano al suo fianco: «Non pensassero che con Fabrizio Barca noi voteremmo sì alle larghe intese. Non esiste». Insomma, se fallisce questo tentativo si va al voto, anche se non lo si può dire esplicitamente perché in Direzione si aprirebbe un pandemonio. La strategia dell’ala sinistra del Pd e del segretario diverge solo sul dopo. Bersani pensa di candidarsi alle elezioni, i «giovani turchi» ritengono che sia giunto il tempo di un altro, anche lo stesso Renzi. Intanto però si fanno sempre più stretti gli spazi di manovra con il Pdl. Bersani ieri, ai funerali di Manganelli, ha parlato con Schifani e ha capito che Berlusconi non intende dare nessun aiutino senza una contropartita: «È inammissibile: vogliono farci passare per impresentabili che non possono andare al governo, ma che devono fargli il favore di consentirne la nascita».
Ma il prezzo che chiede Berlusconi per il Quirinale è troppo alto e il leader del Pd non può pagarlo: «Noi siamo disposti a cercare un nome per il Colle anche con loro, solo che non può essere un nome fatto da loro o del Pdl. Possiamo pensare a una proposta condivisa. Ed è giusto che il centrodestra, oltre ai grillini, abbia la presidenza di alcune commissioni: fa parte della normale dialettica istituzionale e parlamentare».
A sera, dopo le prime consultazioni, Bersani fa il punto con i suoi: «È vero che al Senato non abbiamo i numeri per la maggioranza, ma non c’è neanche un’altra maggioranza contrapposta: non ci sono altre alternative realistiche per chiudere questa crisi». E ancora: «Il nostro elettorato non capirebbe un governo di larghe intese: il voto è stato una richiesta di cambiamento e noi non possiamo rispondere con la grande coalizione alla greca e fare la fine di quel Paese. E comunque un governo è indispensabile per il Paese».
E allora? «Allora, io non chiederò a Pdl, Lega e 5 stelle di fare patti, inciuci, di votare un governo che non condividono. Chiederò loro di assumersi la responsabilità  di far funzionare la dialettica governo-Parlamento e di consentire quindi l’avvio del governo. Sennò vuol dire che Pdl e grillini si assumeranno la responsabilità  di nuove elezioni». Comunque, Bersani ancora prima delle consultazioni ufficiali sta sondando i suoi interlocutori politici, a cominciare da Scelta civica per capire se la contropartita che chiede è Monti al Quirinale. Quindi si puntano gli occhi sui grillini in fermento, sui leghisti e su Grandi autonomie e libertà , che ha fatto sapere di attendere da Bersani una proposta per il Sud. E una proposta del genere non si nega a nessuno.


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