Il test consultazioni tra i veti dei partiti I due piani di Napolitano

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ROMA — Tra ventiquattr’ore si comincia: domani si aprono le consultazioni e tra giovedì sera e venerdì sapremo quale strada imboccherà  Giorgio Napolitano per dare un governo al Paese. «Non sarà  così facile come in Vaticano», ha ammesso con una battuta sdrammatizzante, incontrando il vicepresidente americano Joseph Biden, in visita al Quirinale. Già , facile davvero no, dopo che le urne ci hanno consegnato il paralizzante risultato di tre minoranze prigioniere di un’incomunicabilità  quasi assoluta. Per cui, nello scenario attuale, il tentativo più probabile che gli rimane — anche se non scontato al cento per cento — rimane quello di un preincarico al segretario del Partito democratico.
Bersani lo rivendica in forza di una vittoria dimezzata, non disponendo dell’autosufficienza numerica al Senato. Ma insiste per averlo, convinto che i margini perché la sua sfida funzioni, per quanto strettissimi (per qualcuno invece proprio inesistenti, data l’assoluta chiusura del Movimento 5 Stelle), possano di colpo allargarsi. Ad esempio sulla scia di ciò che è avvenuto con le nomine degli appena votati presidenti delle Camere. Che non è detto sia però un metodo replicabile ancora con successo.
Al presidente, che giustamente teme le incognite di una prova al buio, il leader del Pd potrebbe dire: sono convinto che se vado in Parlamento presentando un gabinetto forte (e non a caso per i ministeri circolano a mo’ di sondaggio i nomi di Rodotà , Settis, Saviano, ecc.) e un’agenda di pochi punti in grado di coincidere con il programma del 5 Stelle, posso farcela. E potrebbe aggiungere che da Lega e montiani, vengono già  segnali tali da non scoraggiarlo. Va da sé che, se la scommessa evaporasse alla verifica dell’Aula, lo sfiduciato Bersani resterebbe comunque in carica «per il disbrigo degli affari correnti», in attesa che il nuovo capo dello Stato, la cui elezione è fissata a partire dal 15 aprile, dichiari conclusa la legislatura e si torni alle elezioni.
La subordinata a tale schema, oggi come oggi piuttosto azzardato, sembra solo quella del «governo del presidente» del quale si parla da un paio di settimane. Con l’incarico affidato a un uomo (o a una donna, perché no?) che vada a cercarsi i numeri in Parlamento invocando la «responsabilità » di tutti e che, proprio per la sua stessa genesi al di fuori delle segreterie dei partiti, non consenta a nessuno di gridare all’«inciucio». Anche se a sostenerlo ci fosse una maggioranza oggi improponibile per effetto di una conventio ad escludendum rovesciata, del Pd verso il Pdl berlusconiano. Un governo speciale, per traghettarci il meno traumaticamente possibile verso le urne, mettendo magari in cantiere qualche provvedimento d’emergenza. Come la riforma della legge elettorale, economia a parte.
Certo, l’una o l’altra possibilità  sono condizionate da veti, impuntature, condizionamenti interni dei partiti, chiusure, disponibilità , ridislocazioni dell’ultimo momento. Ma in politica non si può mai dare nulla per scontato. Fino all’ultimo momento. Al di là  dei tatticismi già  preelettorali di queste ore, ciò che conterà , per Napolitano, è quello che risulterà  per tabulas durante le consultazioni, ossia le dichiarazioni d’impegno che saranno verbalizzate dal segretario generale. Su questo farà  base ogni sua scelta. E si può star sicuri che la sua maggiore curiosità  si concentrerà  su quanto gli diranno gli esponenti del 5 Stelle. Grillo in testa, e forse pure Casaleggio, il cui arrivo sul Colle è stato annunciato ieri sera.


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