Il teologo Kà¼ng: il suo nome è simbolo di lotta al potere

by Sergio Segio | 14 Marzo 2013 8:32

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BERLINO — «Sono felice, è la migliore scelta possibile, conosce e ama la vita semplice, umile, reale, è esterno al sistema romano della Curia. Spero che vari le riforme necessarie, e in un radicale rimpasto ai vertici come primo segnale ». Il professor Hans Kà¼ng, massimo teologo cattolico critico oggi, esulta, sembra parlare di una possibile perestrojka vaticana.
Professor Kà¼ng, che ne dice?
«Sono felice. La scelta di quest’uomo, proprio lui, a sorpresa, è una vera scelta di qualità ».
Cioè anche meglio dei previsti papabili riformatori?
«Sì, insisto, è la scelta migliore. Primo, è un latinoamericano, e di questo sono molto felice. Non solo: è anche un latinoamericano dalle vedute aperte. È un gesuita, che sicuramente dispone di una formazione e preparazione teologica molto solida. È un uomo che ha sempre condotto una vita semplice, non in grandi e sontuosi palazzi di potere. Un uomo abituato ad andare tra i fedeli anche a piedi scalzi, col bastone di pastore. Già  con i primi gesti ha dato consigli e segnali: non ha chiesto né cercato applausi trionfali né parole pompose, bensì preghiera in silenzio».
Cioè anche un buon esordio?
«Sì, appunto, un esordio ben riuscito con segnali giusti. E infine ma non ultimo, trovo significativa la scelta del nome: Francesco ».
Ecco, lei come la interpreta?
«Un cardinale che nel mondo d’oggi e sullo sfondo della grave crisi della Chiesa sceglie non nomi che richiamino suoi predecessori recenti, bensì proprio questo nome, sa esattamente di richiamarsi e riferirsi a San Francesco d’Assisi. Francesco d’Assisi fu l’alternativa al programma della Chiesa vista e vissuta come potere. Fu l’antitesi del più grande e importante Papa di potere del Medioevo, Innocenzo III, il quale incarnava la Chiesa del potere: Francesco visse e testimoniò la Chiesa degli uomini semplici, dei poveri, dei modesti. Spero solo che Francesco possa veramente realizzare nella Chiesa e nel rapporto tra la Chiesa e il mondo tutto quanto sicuramente si propone di fare».
Dunque non è il candidato della Curia?
«Sicuramente no, bensì candidato
delle voci progressiste nella Chiesa, inclusi i progressisti tra i cardinali tedeschi».
Che significa per la Chiesa nella sua profonda crisi?
«È la domanda decisiva. La risposta dipende da se e come potrà  riuscire a lanciare le riforme. Se e come le riforme necessarie e mancate, accumulatesi nella Chiesa d’oggi, verranno realizzate e s’imporranno, o se invece tutto continuerà  come fino ad ora.
Se il nuovo Papa le realizzerà , troverà  un grande appoggio, ben oltre l’ambito della Chiesa cattolica e dei fedeli. Altrimenti, il grido “indignatevi!” si diffonderà  anche all’interno della Chiesa e imporrà  riforme dal basso. Io sono per riforme guidate dall’alto, ma ora la scelta è davvero nelle sue mani. La comunità  della Chiesa non si accontenterà  più di belle parole, la pazienza di molti cattolici è alla fine».
Che cosa lascia prevedere la sua biografia?
«Lascia spazi di speranza. Non nascondo che ha vissuto ai tempi della dittatura militare argentina. Certo non fu facile, come non lo fu vivere degnamente da fedeli in Germania sotto il nazismo. È stato a volte criticato, ma certo si spiegherà . Il punto non è questo, la domanda-chiave è cosa farà  per la Chiesa e per il mondo. Se ha davvero lo spirito ecumenico e coinvolgerà  le altre Chiese. Se riaprirà  le finestre che il suo predecessore ha chiuso, se tornerà  alla linea di Giovanni XXIII, allora sarà  davvero Francesco I».
Quali potrebbero essere i suoi migliori primi segnali?
«Come segretario di Stato, quale primo segnale, potrebbe scegliere non un rappresentante del sistema romano, bensì una persona pronta alle riforme e dallo spirito ecumenico: non deve per forza essere un cardinale, ma deve essere pronta a realizzare la riforma della Curia. Spero che non vengano fatti compromessi col partito della Curia del tipo “tu sei il Papa ma la Curia resta in mano nostra”».
Vista anche la velocità  dell’elezione, quanto è grande questo pericolo?
«Non faccio speculazioni. Indico cinque punti. Primo, il segretario di Stato appunto. Secondo, il nuovo Papa dovrebbe sostituire e non confermare i responsabili dei dicasteri vaticani. E scegliere personalità  competenti, anche esterne al Collegio dei cardinali. Terzo, dovrebbe introdurre la collegialità  nella Curia, costituire un Gabinetto responsabile di scelte collettive. Quarto, dovrebbe introdurre la collegialità  con i vescovi, riattivare il Consiglio dei vescovi come organo decisionale e non solo consultivo. Quinto, dovrebbe vigilare che diocesi, comunità , singoli fedeli, abbiano riconosciuto un diritto di resistenza e critica. È conforme con il Vangelo. E i cattolici in tutto il mondo sono insoddisfatti di questo ritardo delle riforme».
È il punto più difficile?
«Vedremo se avrà  la forza necessaria. Le riforme necessarie sono note: ruolo della donna, l’enciclica Humanae Vitae quindi la contraccezione, l’ordinazione di donne, l’ecumenismo con le altre Chiese, l’apertura della Chiesa ai drammi del mondo, dalla morale sessuale in Africa al resto».
Il primo Papa non europeo rafforzerà  o indebolirà  la Chiesa europea in crisi?
«Può solo aiutarla. I problemi della Chiesa, dal celibato alla crisi delle vocazioni, sono problemi mondiali. Cerchiamo di essere felici che un Papa extraeuropeo apra nuove prospettive».
Cercherà  dialogo e incontro con lui?
«Non è la cosa più importante, deve occuparsi della Chiesa».

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