Il rebus per Napolitano: esecutivo con numeri certi
ROMA — Neanche Giorgio Napolitano può prevedere dove approderà il viaggio delle consultazioni per chiudere la proibitiva sfida del dopo-voto. Ma un’idea dello spirito con cui tutti (lui compreso, ovviamente) dovrebbero prepararsi all’appuntamento per dare un esecutivo al Paese o per rimandarlo subito alle urne, quella l’ha chiara da sempre. E ieri ha trovato il modo di ripeterla e riproporla, infilando un paio di frasi ad hoc nel discorso per celebrare il 17 marzo, anniversario dell’Unità d’Italia. Frasi nelle quali tutto si tiene. Perché, oltre a indicare un metodo, riassumono un vero e proprio programma di governo.
Dice il presidente della Repubblica: «Noi italiani siamo oggi, e credo che lo sappiamo bene, di nuovo in un momento difficile e duro, per l’economia che non cresce, per la disoccupazione che aumenta e dilaga tra i giovani, per il Mezzogiorno che resta indietro, per quel che non va nello Stato, nelle istituzioni, nella politica e che va modificato, che richiede già da tempo di essere riformato. Ritroviamo dunque orgoglio e fiducia, e ritroviamo il senso dell’unità necessaria… Unità , volontà di riscatto, voglia di fare e stare insieme nell’interesse generale, senza dividerci in fazioni contrapposte su tutto, senza perdere spirito costruttivo e senso di responsabilità ».
Un appello che va al di là dei doveri d’ufficio di un capo dello Stato, in quanto indica i suoi sentimenti e il suo assillo. E quindi anticipa ciò che chiederà ai propri interlocutori da mercoledì, quando si aprirà il gran consulto al Quirinale. Ai partiti restano insomma due giorni, per decidere quale atteggiamento prendere e negoziare una eventuale soluzione da proporre al presidente.
Un tempo brevissimo e lunghissimo insieme. Nel quale ogni antenna politica sarà indirizzata in particolare sul Partito democratico, uscito vincitore-perdente dal voto: vantando una maggioranza assoluta alla Camera e una relativa al Senato, ha il diritto di aspettarsi tra giovedì e venerdì un incarico — probabilmente non pieno — anche se ancora non dispone di numeri certi per assicurarsi la fiducia a Palazzo Madama. Posto che ottenga l’incarico, spetterà poi al segretario e candidato premier Bersani consultare a sua volta le forze politiche e verificare la praticabilità della scommessa di cui parla da un paio di settimane e che si basa su una molto ardua intesa con il Movimento 5 Stelle. Da costruire magari su un’agenda in sintonia con i programmi di Grillo e sul profilo alto di qualche ministro espressione della società civile più che della politica, com’è avvenuto con il ticket vincente Boldrini-Grasso (sebbene per qualcuno quell’operazione potrebbe rivelarsi in perdita, nel medio termine, quasi che con quelle nomine il Pd abbia portato a casa troppo). Dopo di che risalirà al Colle e scioglierà la riserva, accettando. Dovrà però dimostrare di avere la necessaria autosufficienza. Altrimenti sarà costretto a rinunciare.
Se questo sarà lo schema di partenza, di sicuro comunque Napolitano imporrà tempi serrati. Dal suo punto di vista, infatti, ogni giorno perso è un rischio in più per la nostra economia sotto stress.
L’alternativa potrebbe essere un mandato esplorativo a un’alta carica dello Stato, e in questo caso il candidato di riserva sarebbe già pronto, Pietro Grasso, per sondare l’ipotesi del cosiddetto «governo del presidente» o «istituzionale» (ma la disputa nominalistica non entusiasma il Colle). Un esecutivo d’emergenza con un piano d’emergenza e con un premier in grado di raccogliere consensi trasversali, magari senza patti politici siglati dalle segreterie: riforma elettorale, misure anticrisi, costi della politica e, se si può, poco altro.
«Napolitano, pensaci tu», urlava ieri la folla accorsa in piazza del Quirinale. Inutile dire che ci sta pensando e che ci si tormenta sopra. Consapevole che, per chiudere con successo la partita, gli serviranno il «sangue freddo e la fatica» che nelle stesse ore lui ha augurato a Laura Boldrini.
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