Il Prc pensa a cosa farà da piccolo
Il segretario Paolo Ferrero, con tutta la segreteria, ha consegnato le sue dimissioni al Cpn. Che ieri ne ha discusso fuori dai denti e pubblicamente(quasi, la diretta in streaming è a pagamento ma a buon prezzo). Le critiche dai dirigenti dei territori sono implacabili. «Non abbiamo fatto errori, ma una scelta chiara di autoconservazione», «o liquidiamo linea politica disastrosa o liquidiamo Rifondazione», «la nostra incapacità di parlare con molte realtà non ci dà diritto di parola, siamo grilli parlanti», «il segretario non si dimetta ma venga a confrontarsi con noi, basta cabine di regia», qui l’allusione è a come sono spuntate le liste Ingroia.
Ferrero para i colpi ricordando che le scelte sono state fatte tutti insieme, salvo minoranze. Autocritica ma non smobilitazione, «i voti non li abbiamo presi ma possiamo essere interpreti del cambiamento che si è espresso in M5S». Ma come? Convocare un congresso subito è «una sciocchezza», dice, sarebbe resa dei conti «senza approfondire nessuna delle nostre sconfitte». Ferrero propone invece «uno straordinario congresso»: un percorso lungo, fino a dicembre, per tappe di approfondimento in direzione di una nuova proposta di sinistra d’alternativa «aperta a tutti», «stavolta non con patti o metodo da intergruppi». E questa è un’altra autocritica su Rivoluzione civile, ma anche l’Arcobaleno di cinque anni fu così, sinistra dura di comprendonio: del resto il segretario ha iniziato in Democrazia proletaria all’epoca in cui gli intergruppi non erano considerati disdicevoli. Stavolta una testa un voto, dunque, sempre ammesso che si trovino teste che ci stanno ancora. Comitati e movimenti più che altro. Quel po’ che c’è di organizzato a sinistra procede in ordine sparso: la rete 28 aprile aveva già preso le distanze da Ingroia, i ‘professori’ di Cambiare si può maltollerano lo stile partitico del Prc, lo stesso Ingroia dichiara di voler andare avanti ma nei prossimi giorni – gli scadrà l’aspettiva elettorale – annuncerà i termini del suo impegno politico. Di Pietro e De Magistris si sono già sfilati. Il Pdci ieri era impegnato in un duro dibattito interno, ma comunque vada difficile che tornerà sui passi falliti della Federazione della sinistra. Marco Ferrando, trozkista, fa appello ai comunisti scontenti perché entrino nel Pcl. Senza dire che mentre il Prc percorre il suo congresso allungato, magari promuovendo qualche giovane – ce n’è qualcuno ai blocchi – c’è il rischio che si torni a votare.
Nel Prc c’è chi la pensa all’opposto: per l’area di Claudio Grassi – Essere comunisti e dintorni – le dimensioni della sconfitta sono così monumentali che bisogna fare subito il congresso e il gruppo dirigente – di cui fa parte, è responsabile dell’organizzazione – «deve mettersi a disposizione di un processo costituente» (Alberto Burgio). Se no il leader dimissionario resterebbe in carica: non facile tentare così la ripartenza. Anche per questa parte l’orizzonte è la ricerca di una nuova unità a sinistra. La proposta sembra somigliare a quella del segretario, ma invece no perché ha come precondizione il suo pensionamento immediato. «In realtà per riunirsi al Pd e a Sel», fa l’occhiolino chi non è d’accordo. Certo è che un gruppo dirigente marchiato a fuoco da sconfitte e scissioni (sei, dalla nascita del Prc a oggi), certo non aiuta processi unitari: né verso i più radicali né verso i più moderati.
Ferrero dice di essere un punto di equilibrio. Perché nel partito c’è chi esclude il congresso: per lo più per sfinimento, sui territori la crisi di vocazioni è pesante. Oggi, al voto, il documento unitario si biforcherà proprio sui tempi del congresso, ovvero sulle dimissioni del leader. E si vedrà quale delle due anime avrà vinto, se di vittoria si può parlare in questo imbrunire così solitario dell’affollata Rifondazione comunista di quasi un quarto di secolo fa. Intanto, tre iniziative: il 16 marzo a Messina con il movimento No Ponte (sullo Stretto), il 23 in Val di Susa con i NoTav (anche a ricucire le frizioni della campagna elettorale), il 30 in Sicilia con i No Muos. Intanto «attacco a testa bassa al centrosinistra, quelli giocano a rimpiattino mentre in paese va a picco» (Ferrero). Il partito resta, in attesa di capire il vecchio che fare. Intanto si fa movimento.
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