Il Pdl e la paura di un presidente di parte

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ROMA — La richiesta è sempre la stessa. Più esplicita, più secca, più incalzante, perché sempre meno possibilità  ha di essere accolta. Lo sanno bene nel Pdl quando, come ha fatto ieri Angelino Alfano, arrivano a proporre un appoggio quasi incondizionato a Bersani sul governo in cambio di un presidente, se non della propria parte, almeno di garanzia, condiviso, accettabile.
Una mossa che serve a dire al Pd «non avete alibi, se vi servono voti per governare siamo qui, non c’è motivo di eleggere un presidente di sinistra per conquistare i grillini», ma una mossa sulla cui riuscita, da sabato, si conta meno. Perché non c’è dubbio, e lo ammettono nel Pdl, che la decisione di Bersani di sparigliare sulle candidature alle presidenze delle Camere «ha funzionato», e la contromossa di avergli opposto Schifani è stata «un autogol, era meglio scheda bianca, perché così facendo abbiamo portato voti dei grillini al Pd».
Voti che in realtà  nessuno nel Pdl pensa davvero che siano conquistati alla causa del governo: «Per avere la fiducia — ragiona Gaetano Quagliariello — il Movimento 5 Stelle dovrebbe subire una grossa scissione, reale e sancita. Non la vedo, allo stato». Ma voti che stanno a significare che la linea di seduzione e sfondamento sul versante grillino è quella al momento (e forse ormai definitivamente) imboccata dal Pd, con due sbocchi potenziali: un governo con il M5S (improbabile, come improbabile viene considerato che Napolitano affidi a Bersani un incarico pieno «con questi numeri»), o il voto anticipato dopo aver eletto un capo dello Stato «di parte» e fuori dagli schemi tradizionali per sfidare comunque Grillo sul terreno dell’innovazione: «Se vogliono — ammette Gasparri — il presidente della Repubblica se lo eleggono da soli assieme a qualche grillino». E in quel caso appunto, è la deduzione che fa lo stesso Berlusconi parlando con i suoi, non sarà  certo un moderato…
Insomma, rientrare nei giochi è considerato «molto difficile». E le carte a disposizione per forzare la mano praticamente non ci sono. Il Pdl continuerà  a gridare al pericolo «occupazione militare» e assieme a offrire disponibilità , si dividerà  tra responsabilità  e manifestazioni, la prima sabato a piazza del Popolo da dove, spiega Maurizio Lupi, partirà  il messaggio che «siamo tutti con Silvio, non ci divideranno mai, a rilanciare i nostri temi concreti con tantissima gente che non potrà  essere ignorata». Ma per il resto, bisogna solo aspettare e, sempre Lupi ragiona «rimettersi alla saggezza di Napolitano» che aprirà  mercoledì le consultazioni, e che ha la fiducia di Berlusconi e dei suoi.
In ogni caso, la strada che si reputa più probabile ad oggi resta quella delle elezioni: «Se continuano a dirci di no — e anche se sono divisi su questo punto hanno problemi a cambiare linea — si finirà  al voto, altra strada non c’è», ha ripetuto ieri Berlusconi a pranzo allo stato maggiore del partito che ha riunito anche per ufficializzare le scelte dei prossimi capigruppo: hanno la sua benedizione sia Schifani al Senato sia Brunetta alla Camera, che oggi dovrebbero essere eletti per acclamazione, anche perché in caso di voto segreto «vari malumori potrebbero venire a galla e i giochi si riaprirebbero», dicono i bene informati. Scelte comunque che rivelano — assieme a quella che viene data per possibile della Santanchè come vice presidente della Camera — che la legislatura che si attende sarà  «da combattimento», sia che finisca a giugno sia che prosegua per qualche mese. In ogni caso, il nodo dell’elezione del capo dello Stato dovrà  essere sciolto presto. Dopo il governo, chiaro, ma nel giro di pochi giorni. Con una certezza: «per noi la soluzione più praticabile ad oggi resta una rielezione di Napolitano», hanno ragionato Berlusconi e i suoi. Con una domanda che resta nell’aria: «Ma se anche riuscissimo a forzare il presidente che si dice indisponibile, il Pd ci starebbe?».


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