Il mortaio fa strage all’università 

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GERUSALEMME. A metà  gennaio, 83 studenti siriani persero la vita in due esplosioni avvenute nell’ateneo di Aleppo. Ieri hanno subito la stessa sorte 15 giovani iscritti alla Facoltà  di Architettura dell’Università  di Damasco presa di mira da colpi di mortaio. Un attacco che ha colto gli studenti di sorpresa, mentre erano nella mensa universitaria, e che i mezzi d’informazione statali hanno attribuito ai «terroristi», ossia ai miliziani siriani eai jihadisti stranieri che combattono contro le autorità  centrali siriane. Nelle ultime settimane le milizie dell’opposizione hanno lanciato numerosi attacchi in quella zona, dove si trovano i principali edifici governativi, facendo diversi morti. L’Osservatorio siriano per i Diritti umani, con sede a Londra e vicino all’opposizione, invece ha chiamato in causa forze filo governative.
Una nuova strage che aggrava il bagno di sangue della guerra civile che sino ad oggi ha fatto, secondo le Nazioni unite, almeno 70mila morti. Solo nelle ultime ore, in tutta la Siria si sono registrati almeno 148 morti, tra i quali decine di civili. Alla periferia di Damasco da ieri si combatte senza sosta, in particolare a Qabun, dove sono entrati in azione i carri armati dell’Esercito. Ci sono stati scontri anche nel quartiere sud-occidentale di Qadam e a Daraya. Amnesty International intanto sollecita la Lega araba e i paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) a premere su tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano affinché rispettino il diritto internazionale umanitario e i diritti umani. Amnesty, sottolineando che le maggiori responsabilità  sono da attribuire alle forze governative, ha chiesto l’adozione di un forte messaggio di condanna anche degli abusi perpetrati dai gruppi armati ribelli. Le ricerche del centro per i diritti umani evidenziano un crescendo di crimini commessi dai miliziani dell’opposizione, che ricorrono sempre più spesso alla cattura di ostaggi, alla tortura e all’uccisione sommaria di soldati, miliziani filogovernativi e civili.
L’escalation sul terreno procede di pari passo con gli sviluppi politici. L’opposizione siriana, grazie alle pressioni del Qatar, ha strappato al governo di Damasco – tra le proteste di molti siriani (e non solo) – il seggio alla Lega araba e ora punta ad occupare quello all’Onu. Non riesce però a convincere del tutto alcuni dei suoi sponsor più generosi. A cominciare dagli Stati uniti, che si sono opposti al dispiegamento di batterie antiaeree Patriot in territorio siriano, così come aveva chiesto il presidente della Coalizione Nazionale dell’opposizione (Cn), Muaz al Khatib, «a protezione delle zone liberate», ossia che non sono più sotto il controllo del governo e da tempo nelle mani delle milizie. Contro l’opposizione giocano le divisioni interne, alimentate dagli appetiti e dai disegni strategici di vari paesi. Ma anche la disillusione di molti verso la piega che sta prendendo quella che è nota come «rivoluzione siriana», manifestata da dissidenti storici e oppositori politici del presidente Bashar Assad.
In una lettera indirizzata alla Lega araba riunita ad inizio settimana a Doha, Michel Kilo, Walid Bunni, Abdel Razzak Eid, Basma Kodmani e altre decine di intellettuali e attivisti hanno condannato «l’egemonia» che alcuni Paesi e movimenti politici esercitano sull’opposizione. «I conflitti tra i vari leader e il controllo dittatoriale di una delle sue correnti sulle decisioni della Cn, stanno indebolendo l’opposizione», hanno avvertito i firmatari del documento. Un evidente riferimento al ruolo del Qatar e dei Fratelli musulmani che una decina di giorni fa avevano imposto la nomina dello sconosciuto islamista (residente in Texas) Ghassan Hitto a “premier” di quel governo provvisorio che dovrebbe amministrare le “zone liberate” spaccando in due parti la Siria. Imposizione che ha causato le dimissioni di Muaz al Khatib (vere a metà ), mentre Kilo e i suoi compagni hanno chiesto che venga riequilibrato il peso delle singole correnti nella Cn.
È assai improbabile che il Qatar e gli altri paesi che appoggiano l’opposizione decidano di fare un passo indietro e di lasciare ai siriani – inclusi i tanti che sostengono Bashar Assad – la facoltà  di decidere il proprio futuro. Così come è chiaro che l’Iran difenderà  i suoi interessi strategici sino in fondo aiutando in ogni modo l’alleato presidente siriano. L’agenzia Afp parla di due schieramenti tra i paesi sostenitori dell’opposizione: Qatar e Turchia che appoggiano i Fratelli musulmani; Usa e Arabia saudita su posizioni più caute. Due schieramenti che agiscono per imporre la loro soluzione alla guerra civile siriana. Un esito che sarà  molto diverso da quello immaginato da Kilo, Bunni e gli altri che nella primavera di due anni fa, assieme a migliaia di giovani, avviarono in strada le proteste contro Assad.


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