Il «no» di Grillo e i paletti del Pdl Bersani in affanno
ROMA — La nota ultimativa di Alfano, che alle otto di sera piomba come una secchiata di ghiaccio sul confronto e lo tramuta in scontro, rivela che il prezzo per il via libera a un esecutivo Bersani è il nome del prossimo capo dello Stato.
«Se il Pdl vuole la trattativa sul Colle noi non ci stiamo» è la replica lapidaria con cui la segreteria del Pd sembra serrare ogni spiraglio. «La vicenda è chiusa e l’ha chiusa Bersani, che ora si trova nel vicolo cieco in cui si è infilato» è il messaggio di Alfano, che accusa il segretario del Pd di non aver formulato «alcuna seria apertura» e di aver «occupato tutte le cariche istituzionali».
A poche ore dal fischio dell’arbitro il Pdl rilancia la palla nel campo democratico. Alfano dice che ora sta a Bersani «rovesciare la situazione», ma il segretario del Pd non è disposto a trangugiare scambi sul Quirinale. I margini di manovra sono sempre più esigui eppure al Nazareno si ostinano a leggere gli eventi in positivo e ragionano di una possibile intesa «sul metodo» per eleggere il presidente della Repubblica. Ben poca cosa per il Pdl, visto anche che su anticorruzione e conflitto di interessi Bersani non scende «di una tacca».
Stasera o domattina al massimo salirà al Colle per «valutare con Napolitano numeri e valutazioni politiche», ma non sarà un braccio di ferro: «Non ho diktat da fare. Con il capo dello Stato il dialogo è sempre bello, corretto e produttivo». La giornata di passione del presidente incaricato comincia in diretta streaming con i capigruppo del M5S, in un clima di diffidenza reciproca. A Roberta Lombardi sembra «di stare a Ballarò» e Vito Crimi non concede nulla: i grillini non voteranno «nessuna fiducia in bianco» e chiederanno a Napolitano un «governo a Cinque stelle con un premier super partes». E non è ancora niente, perché dal suo blog Beppe Grillo lancia pietre apostrofando Bersani e Berlusconi come «padri puttanieri». Un attacco al quale il segretario del Pd s’incarica di rispondere in prima persona: «Auguri ai salvatori della Patria».
Se qualcuno aveva fatto di conto su un possibile «aiutino» dei Cinque stelle, i veti di ieri hanno spazzato via ogni illusione. Qualche dissidente comincia a venire allo scoperto, ma al Senato non sono numeri che possono fare la differenza. Anche i leghisti, che pure avevano seminato speranze, sono in ritirata. Nel pomeriggio Bobo Maroni dice di ritenere «possibile» l’appoggio a Bersani e si spinge fino a ragionare di come sia «tecnicamente possibile» abbandonare l’Aula per far scendere il quorum della fiducia: «La decisione è politica, faccio nascere il governo o no?». Parole che nel Pd sollevano un polverone di ottimismo, a Montecitorio si sparge persino la voce che Bersani sia pronto a giurare sabato stesso nelle mani di Napolitano…
Tutto deve ancora succedere. Le sorti della legislatura sono appese a Berlusconi, che di certo ha concordato con Alfano la formula dell’ultimatum. I bersaniani dicono che il Cavaliere «si è preso 48 ore» e i berlusconiani affermano che è il segretario del Pd a dover rimuginare. «Stanno riflettendo? Riflettano, ma non abbiamo molte ore — incalza il leader del Pd — Se c’è una proposta più forte la dicano. Qui si parla dell’Italia, non è Bersani che si rompe la testa». Una palude. Berlusconi vuole il Quirinale oppure le larghe intese, Monti chiede che il Pdl sia coinvolto, Bersani respinge il governissimo… Come se ne esce? E cosa succederà al Quirinale, il segretario si arroccherà o, in caso di insuccesso, aprirà a un premier che non sia lui stesso? Questa ipotesi Bersani non la considera e i suoi mettono in giro la voce che potrebbero persino non votarlo, un altro esecutivo. Quanto al governo del presidente, tra i nomi più quotati c’è sempre quello di Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia. Ed è il segretario in persona a scacciare il fantasma che lo tormenta, con parole che difficilmente Napolitano gradirà : «Governo del presidente? Io non so cosa voglia dire».
Monica Guerzoni
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