Il gesuita con il saio
Sono questi i primi due segni dell’elezione a Papa del cardinale Bergoglio, ma ve ne sono altri, tutti portatori di novità , che insieme potrebbero aiutare la Chiesa a superare quel complesso dell’arretramento che sembra averla colpita lungo gli ultimi quattro decenni, a partire dalla contestazione giovanile degli anni Sessanta del secolo scorso, che coincise con l’inizio del conflitto interno sull’eredità del Vaticano II.
Il terzo segno viene dall’eletto, che ha scelto di chiamarsi Francesco, un nome che racchiude un destino: nell’età di mezzo Francesco d’Assisi andò al soccorso della Chiesa di Roma in risposta alla chiamata avuta nel sogno: «Francesco ripara la mia Chiesa»; e oggi, ottocento anni dopo l’avventura del Poverello, un Papa per la prima volta prende quel nome che è sempre restato un programma e con ciò segnala di volerne assumere la missione che è di ritorno al Vangelo sine glossa, cioè senza adattamenti.
Il quarto segno è da cogliere nel ruolo che il nuovo Papa ebbe nel Conclave del 2005, quando risultò il più votato dopo Ratzinger sia al primo sia all’ultimo degli scrutini. Ricostruzioni attendibili segnalano che arrivò ad avere quaranta voti che forse non sarebbero bastati per eleggerlo ma che potevano impedire l’elezione del Papa teologo.
Si dice ancora che nella pausa del pranzo Bergoglio scongiurasse i suoi sostenitori di concorrere a eleggere Ratzinger, cosa che avvenne. Otto anni dopo è l’eletto di allora a rinunciare e tocca al primo rinunciatario prendere il suo posto: una vicenda parabolica che di sicuro tiene in sé molti significati.
Come hanno fatto i cardinali a convincere ieri chi allora non volle il papato? Bergoglio è un gesuita, il primo Papa gesuita della storia: e si sa che i gesuiti hanno nella Regola l’impegno a non accettare cariche e onori. Si dice che nell’ultima Congregazione generale egli abbia parlato di povertà e di purificazione della Chiesa dal «peccato»: forse i cardinali da quelle sue parole hanno compreso che ora l’umile argentino si sentiva pronto ad osare il papato e a disubbidire alla Regola dettata da Ignazio di Loyola, quasi facendosi da gesuita francescano.
L’uscita del papato dall’Europa ha lo stesso segno epocale che ebbe nel 1978 l’uscita dall’Italia: allora era in questione l’assetto dell’Europa nella fase finale del confronto Est-Ovest, oggi è in questione l’assetto del mondo. Questa uscita è di buon segno perché a nessuno sfugge che le Chiese d’Europa hanno ormai troppa storia per poter guardare con occhi sgombri alla sfida dei tempi nuovi che viene dai poveri del pianeta. Proverà forse a guardarla ora con gli occhi di papa Francesco.
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