Il discorso dell’«imperatore» Xi: lotta alla corruzione per la rinascita

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PECHINO — La lunga marcia del passaggio dei poteri dalla quarta alla quinta generazione di leader della Cina comunista è compiuta. Al presidente Xi Jinping si è aggiunto il premier Li Keqiang. Ieri i due si sono presentati ai cinesi e al mondo. Xi con un discorso dal contenuto molto nazionalista ai tremila delegati del Congresso del popolo: promettendo di «portare avanti la grande causa del socialismo con caratteristiche cinesi» e di «battersi con spirito indomito per il grande rinascimento della nazione e il sogno cinese». Poi incitando «soldati e ufficiali dell’esercito a tenersi sempre pronti a combattere e vincere». E non dimenticando di attaccare ancora sul suo fronte preferito, quello della lotta alla corruzione: «Bisogna ripudiare risolutamente formalismo, burocratismo e stravaganza», ha detto. Ha concluso scomunicando anche «l’edonismo», vocabolo per il quale non pochi delegati arrivati dalle più lontane province dell’Impero di Mezzo avranno dovuto ricorrere al dizionario mandarino.
Li Keqiang, economista di 57 anni, si è concesso ai giornalisti in una conferenza stampa molto coreografica e molto di regime: nell’enorme sala tutta marmo e colonne smaltate di rosso, molti posti erano occupati da schiere di tizi vestiti di nero con auricolare da bodyguard, da sedicenti giornalisti cinesi che non prendevano appunti, hostess molto carine. Nessuna domanda a sorpresa, tutto era stato concordato. I giornalisti, anche quelli occidentali, servivano al nuovo capo del governo per annunciare la linea.
Al primo punto Li ha posto la riduzione del ruolo dello Stato. «Ci siamo imposti una rivoluzione per ridurre la presenza del governo, sapendo che dovremo scuotere interessi acquisiti e che questo sarà  difficile. Ma io parlo con la gente e so quello che vuole: meno burocrazia. Prometto che la ridimensioneremo drasticamente, cancelleremo un terzo delle autorizzazioni amministrative necessarie all’attività  economica privata. E prometto che taglieremo le nostre spese, da quelle per le auto pubbliche ai viaggi, e non costruiremo nuovi palazzi governativi». La Cina spende per la macchina burocratica circa 140 miliardi di euro l’anno e si rivolge soprattutto a multinazionali globalizzate (che dovranno rifare i conti).
Li ha detto che l’altra priorità  sarà  la crescita: «Puntiamo a mantenerla stabile al 7,5% nei prossimi dieci anni». Ma uno dei guasti della corsa per diventare seconda potenza economica del mondo è stato il grande aumento della diseguaglianza sociale. Secondo i dati Onu, il 13% dei cinesi vive ancora con meno di un euro al giorno. Per ridurre il divario tra popolazione cittadina e contadini la ricetta è l’urbanizzazione. I pianificatori del regime vogliono portare altri 400 milioni di cinesi in città  nei prossimi dieci anni. Il governo promette di investire 40 trilioni di yuan per costruire città  medie (500 mila-1 milione di abitanti) e piccole (meno di mezzo milione). Questa spesa in infrastrutture permetterà , secondo i calcoli dei consiglieri di Li, di sostenere la domanda interna.
Un giornalista cinese ha chiesto (gli è stato «suggerito» di chiedere) se finirà  il sistema dei campi di lavoro rieducativi, i famigerati laojiao: «Ci stiamo lavorando, entro l’anno la riforma dovrebbe essere pronta».
Altra domanda: ha visto la nebbia sporca che avvolge Pechino stamattina? «Ho visto oggi e ho visto in tutti questi giorni e so che è così in tutta la Cina orientale. Non dobbiamo più inseguire la crescita a spese dell’ambiente», ha risposto in tono grave il premier. E ha concluso in modo filosofico: «Non è buono essere poveri in un bell’ambiente, ma non è buono neanche essere ricchi in un ambiente degradato. E in definitiva respiriamo tutti la stessa aria, poveri, ricchi e governanti».
Al corrispondente dell’Associated Press Usa è stato consentito di sollevare il tema dell’hackeraggio cinese ai danni di Washington. Li è stato conciliante: «Ci trattate da presunti colpevoli, invece di scambiarci accuse sarebbe meglio collaborare con idee concrete per la sicurezza cibernetica».
Tempo scaduto. Ma Li, magnanimo, s’è offerto di porsi una domanda da solo: la Cina avrà  una politica estera aggressiva nel Pacifico? «No, perché noi abbiamo sofferto per colpa di altri in diverse epoche. Ma tra atteggiamenti pacifici e difesa dell’integrità  territoriale della Cina non c’è contraddizione». E sorridendo e salutando con ampi gesti è uscito.
Guido Santevecchi


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