Guédiguian il marsigliese

by Sergio Segio | 24 Marzo 2013 8:32

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Comunista, militante, «cineasta di quartiere» come si definisce dopo i suoi primi film, girati all’Estaque, il quartiere popolare di Marsiglia dove è nato e cresciuto, Robert Guédiguian continuerà  nei suoi film a raccontare le storie della classe operaia, gli amori, i divertimenti, le fatiche e i drammi di chi lavora. Lo incontriamo a Bergamo, dove è stato protagonista della retrospettiva del XXXI Film Meeting, una bella occasione per vedere e rivedere i 17 lungometraggi di un cineasta e di un intellettuale sensibile ai cambiamenti della società . «Faccio film sugli operai – racconta – perché sono cresciuto in quel mondo, mio padre era meccanico al porto di Marsiglia, mia madre faceva le pulizie. Mi sono sentito responsabile di essere il loro portavoce.

Ho girato il mio primo film, Dernier été , per mettere in luce la nostra vita di allora. Solo dopo ho deciso consapevolmente di raccontare quell’universo. Ho voluto dare alle persone come i miei genitori una loro grandezza, li ho resi protagonisti ma dandogli qualità  e difetti come capita con il resto del mondo.

Continuare a raccontare le loro storie è per me politicamente importante. In questo senso il mio modo di fare cinema non è ma cambiato». Nei suoi film si possono individuare due diverse direzioni, una drammatica e una più ottimista. Da L’argent fait le bonheur (1993) in poi ho alternato racconti del mondo come è nei drammi, e come vorrei che fosse nelle commedie. Ma ho anche provato a fare film incoraggianti, in cui dico che la fraternità  e la solidarietà  sono ancora possibili. Perché secondo lei non ci sono molti film sugli operai? Nella storia del cinema spesso il popolo è rimasto sullo sfondo.

La maggior parte dei registi viene dalla piccola borghesia, sono figli di insegnanti o di professionisti, per questo gli è difficile fare film sulla classe operaia. In più c’è da considerare che i film vengono fatti anche per chi va a vederli, per il pubblico. Quando incontro un possibile finanziatore di un mio progetto mi sento sempre chiedere: non sarà  un altro film sui disoccupati vero? Ce ne sono già  tre quest’anno! Oggi la gente comune non va più al cinema, preferisce guardare la televisione, e pensando a questo si fanno film sul dentista che tradisce la moglie con la segretaria. La classe operaia però come mostra ne «Le nevi del Kilimangiaro», è cambiata in questi anni. Sì, basta guardare al cementificio che compare in tre o quattro dei miei film. Nell’80 il protagonista di Dernier été rifiutava di lavorarci e in Francia c’erano trecentomila disoccupati. Vent’anni dopo ricorre a uno stratagemma per essere assunto. Negli ultimi trent’anni la sinistra e la classe operaia si sono limitate a difendere le conquiste ottenute anziché proporre anche cose nuove. E ai giovani non puoi presentare soltanto la difesa di un mondo nel quale non sono ancora entrati. Se non avanzi idee diverse, che cercano il confronto con la realtà  attuale, c’è per forza di cose un allontanamento.

Bisogna riallacciare i fili tra le generazioni e credo che il cinema può essere un aiuto. Il conflitto generazionale che c’è in Le nevi del Kilimangiaro , tra il vecchio operaio e quello giovane, non ha nessuna ragione di esistere, ma si verifica perché il giovane non sa come hanno vissuto i più grandi e loro non sanno come vivono i giovani. Dalla Francia come vede il successo elettorale di Grillo? C’è molta curiosità  da noi per quel che sta succedendo nel vostro paese, l’Italia è diventata una sorta di laboratorio per l’Europa. Grillo è anche il frutto del governo Monti, una politica fatta da tecnici che è il contrario della politica. Monti sottolineava di non essere un politico, e lo stesso fa Grillo. È come se ci fosse un’impossibilità  di trovare una rappresentanza politica ora.

È inquietante, ma è da valutare con molta attenzione. Considera il voto al Movimento 5 Stelle un voto contro l’Europa? È un voto fortemente contro l’Europa. Da qualche anno i popoli europei esprimono un pensiero votando appunto contro questa idea di Europa – pensiamo al No francese alla Costituzione europea – e l’Europa fa altro. La Ue è un luogo violentemente antidemocratico. E la costruzione dell’Europa è un fallimento totale: dal punto di vista economico forse esiste, ma da quello sociale, politico e culturale no. Servirebbe un’Europa con uno statuto indirizzato alle questioni sociali, che affermi la volontà  di migliorare le cose. La Ue può cambiare e andare in questa direzione? Non credo che l’Europa possa trasformarsi. La creazione della Ue non ha cambiato molto l’assetto generale, i legami che ci sono ora c’erano già . Un’idea come quella del «viaggio in Italia» esisteca ai tempi dei romantici tedeschi. Da studente ho viaggiato molto, bastava cambiare i franchi in lire. Un agricoltore invece non viaggiava e viaggia ancora meno ora con la crisi. La democrazia è stata concepita in un luogo piccolo e circoscritto. Per una città  possiamo trovarci e decidere insieme, a livello internazionale diventa un rompicapo. C’è anche il dominio della finanza. Nei suoi film torna spesso sul fatto che le decisioni sulle fabbriche e sui lavoratori vengono prese lontano. Negli ultimi 40 anni il potere economico ha invaso gli altri. Oggi la politica soggiace all’economia. Anche l’Unione europea è nata come comunità  economica e non è che un agglomerato economico.

La Grecia è stata fatta entrare perché era un mercato per i prodotti tedeschi e anche la Francia le vende armi. A proposito di Francia, che bilancio fa del primo periodo di presidenza Francois Hollande? Hollande non ha un’idea del mondo diversa da quella esistente. È uno che gestisce le cose, gestisce la Francia, non la cambia. E ciò non è una bella cosa. Dobbiamo cambiare, non solo evitare il crollo economico, ma trovare idee diverse. Dobbiamo fare come Marx nel XIX secolo. In questi anni la scena è stata occupata da leader forti, Sarkozy, Merkel, Berlusconi, mentre la sinistra oggi propone figure un po’ scialbe. Secondo lei serve una figura carismatica per cambiare le cose? Sì, c’è bisogno di personaggi carismatici. Mitterand lo era, Togliatti lo era, Marx pure. È necessaria una figura che incarni le idee in movimento. È sempre stato così nella storia. Lei vede una persona in grado di farlo oggi? No.

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LE QUATTRO DATE DI ROBERT

1953 : Nasce a Marsiglia nel quartiere popolare dell’Estaque, padre armeno, madre tedesca. 1974: Incontra Ariane Ascaride, sua moglie e la compagna di viaggio nel suo cinema, e gli altri del gruppo con cui lavora da sempre, Gérard Meylan e Jean-Pierre Darroussin 1980: Realizza il suo primo film, «Dernier été», girato all’Estaque, storia di un gruppo di amici tra disillusioni e disoccupazione. 2012: Sostiene il candidato del Parti de gauche (Partito della sinistra) Jean-Luc Mélanchon (Partito della sinistra) alle presidenziali

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