by Sergio Segio | 13 Marzo 2013 12:02
Lo stesso che 24 ore prima aveva marciato nel palazzo di giustizia di Milano.
Di fronte alle prime notizie su una manifestazione del centrodestra anti giudici, il capo dello stato aveva negato la disponibilità a interloquire al Quirinale con i rivoltosi. Per questo, e non per un tranquillante, il Berlusconi convalescente del San Raffaele aveva ordinato un primo stop ai suoi. Poi tutto è precipitato e la manifestazione a Milano l’hanno fatta direttamente i parlamentari del Pdl. E a Roma Napolitano non ha più fatto obiezioni. Le porte del Quirinale si sono aperte per Alfano, Cicchitto e Gasparri. CONTINUA|PAGINA2 L’unica cautela del presidente della Repubblica, nell’incontro con i tre rappresentanti del Cavaliere ospedalizzato, è stata quella di esprimere pubblicamente «rammarico» per «una manifestazione senza precedenti all’interno del palazzo di giustizia di Milano». I manifestanti erano lì davanti a lui, «consapevoli» certo che «il capo dello stato non può interferire nell’esercizio del potere giudiziario», ma certo ben contenti di ascoltare un monito generale contro le «contrapposizioni tra politica e giustizia» che non distingue tra azione e reazione.
Congedato il trio berlusconiano, il presidente della Repubblica ha ricevuto i tre componenti del Csm che compongono il comitato di presidenza dell’organo di autogoverno dei giudici. Una convocazione assai irrituale – c’è un precedente quattro anni fa, quando Napolitano provò a frenare la rabbia dei consiglieri per gli attacchi che venivano dal ministro della giustizia, guarda caso Alfano. E così la salita al Colle del vicepresidente Vietti, del primo presidente della Cassazione Lupo e del procuratore generale della suprema corte Ciani, metteva già di buonumore il centrodestra. Non stava nella pelle Alfano: «Esprimiamo fiducia e speranza riguardo le annunciate prossime pubbliche valutazioni del presidente della Repubblica».
Accontentato. Ore dopo, andati via anche i tre giuristi al termine di «un ampio scambio di vedute», Napolitano parla attraverso una lunga nota. Che si può leggere come un testamento del capo dello stato al termine di sette anni caratterizzati, ancora, dagli scontri tra Berlusconi e la magistratura. La linea di Napolitano è sempre stata quella di non concedere nulla al protagonismo delle toghe. Quando è intervenuto l’ha fatto per criticare lo scontro tra le correnti, rimbrottare magistrati troppo presenti nel dibattito pubblico, auspicare cautela nei pareri al parlamento e nelle pratiche a tutela aperte dal Csm. E così ha fatto ieri, ricordando a Berlusconi che «nessuno può considerarsi esonerato in virtù dell’investitura popolare dal più severo controllo di legalità », ma subito aggiungendo che i pm devono guardarsi «dall’attribuirsi missioni improprie» mettendo maggiore attenzione «alle garanzie della difesa».
Tutto giustissimo, solo che poi il capo dello stato, che pure riconosce di non poter intervenire nei processi, sui processi interviene avvertendo che vista «l’estrema importanza e delicatezza degli adempimenti istituzionali» che attendono, «occorre evitare tensioni destabilizzanti per il nostro sistema democratico». E certo procurerebbe tensione una conferma in Appello, il prossimo 23 marzo, della condanna di Berlusconi nel processo Mediaset. E ancor di più una condanna in primo grado nel processo Ruby, seppure la malattia agli occhi del cavaliere l’abbia fatta ormai slittare ad aprile – e qui il presidente prende l’agenda e avverte che la fase delicata «si proietterà fino alla seconda metà del mese di aprile».
In definitiva per Napolitano «è comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo, di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento». E così il presidente richiama la «altamente apprezzabile» iniziativa del comitato di presidenza del Csm che lo scorso 4 febbraio aveva chiesto ai tribunali impegnati con processi ai politici – indovinate chi – di fermarsi per le elezioni. Un’iniziativa, inaudita, che aveva sollevato polemiche, anche perché adottata al di fuori delle competenze del vertice del Csm. Ma era stata ovviamente concordata con Napolitano, che adesso la rivendica, chiedendo in sostanza alla quarta sezione del Tribunale (Ruby) e alla corte d’appello (Mediaset) di Milano di adeguarsi a quell’altolà che a febbraio avevano ignorato (i giudici del processo Unipol invece si erano fermati per le elezioni, e il 7 marzo hanno condannato Berlusconi).
Per il Pdl, che esulta, è una vittoria netta. Anche il colpo al cerchio finale che sembra suggerire un freno a Berlusconi e alle sue «inammissibili» esagerazioni – «non è da prendersi nemmeno in considerazione l’aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco “per via giudiziaria” uno dei protagonisti del confronto democratico» – in fondo può valere anche come colpo alla botte. Ai magistrati.
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