Eternit, Guariniello chiede 20 anni per i «big» Schmidheiny e de Cartier

by Sergio Segio | 14 Marzo 2013 11:59

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TORINO. STRAGE DA AMIANTO. I due imputati erano stati condannati in primo grado per omissione di cautele e disastro ambientale dolosi. Ora si spera che tutto non venga ribaltato come è avvenuto per la Thyssen Dello stabilimento di via Oggero, dove la pianura lascia spazio alla collina e la scritta rossa «Eternit» si vedeva da lontano, non c’è più nulla, se non la palazzina degli uffici, lasciata in piedi quasi come monito perché una tragedia simile non si ripeta. Perché «una così grande non l’ho mai vista» ha detto, ieri, il pm Raffaele Guariniello alla requisitoria del processo d’appello, a Torino, in cui ha chiesto la condanna a 20 anni per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e per il barone belga Louis de Cartier, la testa del colosso dell’amianto, che a Casale Monferrato come a Cavagnolo, Rubiera, Bagnoli (e in tanti luoghi d’Italia e del mondo) continua a provocare morti.
Un disastro che, secondo l’accusa, è conseguenza cosciente della condotta imprenditoriale dei due imputati, condannati in primo grado per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele. «Hanno accettato e continuano ad accettare questo immane disastro – ha aggiunto Guariniello – che ha colpito e colpisce cittadini, non solo lavoratori. È un disastro che non può essere ridotto ai luoghi di lavoro ma si sta consumando ai danni della popolazione, di tutti noi. Continua a seminare morte e continuerà  a farlo chissà  fino a quando». Basta alzare lo sguardo, oltre via Oggero, per capire che il lascito di quella storia maledetta non è debellato; costeggiare le baracche sul Po con i tetti coperti dal grigio ondulato, attraversare Casale (dove la bonifica pubblica è stata la più avanzata) e dare un’occhiata ai soffitti delle fabbriche abbandonate o abbassare gli occhi e osservare il battuto dei cortili di Casale Popolo, realizzati con il polverino (il materiale di scarto).
Tutto, qui, sapeva di polvere, lo racconta Nicola Pondrano, ex operaio e poi sindacalista, che da giovane ancora inconsapevole era rimasto stupito dalle scie che le biciclette degli operai lasciavano per strada. Scie bianche. Lui è uno dei protagonisti di questa lotta trentennale, insieme a Bruno Pesce, sindacalista e coordinatore vertenza amianto, l’oncologa Daniela Degiovanni e Romana Blasotti, presidente dell’Afeva, che con i suoi occhi chiari e una volontà  di ferro ha reagito alle morti in famiglia, cinque in tutto, il marito Mario, la figlia Maria Rosa, poi una sorella, una cugina e un nipote.
«Oggi – ha ammonito Guariniello – stiamo facendo un processo, ma domani ci saranno altri morti. E avviene anche in altre parti del mondo, tutto sotto un’unica regia. Questa tragedia si è consumata senza che mai fino a oggi nessun tribunale abbia chiamato a rispondere i veri responsabili». I parametri per cui sono stati chiesti 20 anni sono «l’enorme gravità  del danno, l’eccezionale intensità  dell’elemento soggettivo e il dolo diretto. Non siamo – ha sostenuto – al cospetto di titolari di un’officina metalmeccanica, ma dei vertici di un’enorme multinazionale, con un’alta capacità  economica. Gli imputati, per anni, hanno negato la pericolosità  e la cancerogenicità  dell’amianto e sono stati mossi da una volontà  precisa di proseguire l’attività  a tutti i costi mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori e della popolazione». Infine, «Schmidheiny ha mascherato attività  di spionaggio e attività  lobbistica dietro l’attività  filantropica per evitare di rispondere della sua condotta davanti ai giudici».
Familiari, attivisti, ex lavoratori (i pochi rimasti) sono arrivati al Palagiustizia in pullman come a ogni udienza del maxi-processo iniziato l’11 dicembre 2009. I numeri sono significativi: 3000 vittime (2200 morti e 800 malati, dati in aumento) e 6300 parti civili costituite. Il pm ha chiesto, inoltre, che gli imputati siano condannati anche per le vittime da amianto degli impianti di Rubiera e Bagnoli. Un capo di imputazione che la sentenza di primo grado aveva considerato prescritto. «Riteniamo che la loro responsabilità  sia ancora attuale anche per quanto riguarda quei due siti». La sentenza è attesa per fine maggio, nella speranza che non sia un remake di quella Thyssen. Poi, probabilmente, ci saranno un Eternit bis e un tris. È una storia lunga cent’anni, che avrà  ancora dolore da consumare, ma pretende giustizia. 

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