E INTANTO L’AMERICA VOLA

by Sergio Segio | 9 Marzo 2013 8:31

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SE LA ripresa continua a questo ritmo la disoccupazione scenderà  sotto il 7% a fine anno, una soglia simbolica importante. Il ritmo di creazione di nuova occupazione viaggia su una media di 205.000 posti in più ogni mese da quattro mesi. Dalla fine della recessione i posti creati superano un totale di 6,3 milioni. Il commento della Casa Bianca è significativo perché abbandona la consueta prudenza: «Resta molto da fare — dice Alan Krueger, capo dei consiglieri economici di Barack Obama — ma è chiaro che la ripresa iniziata a metà  2009 sta acquistando velocità ».
Il divario tra Europa e Stati Uniti è così eclatante che il Fondo monetario internazionale incalza la Bce perché faccia di più.
Christine Lagarde non esita a “bacchettare” Mario Draghi per non aver ridotto i tassi. «C’è spazio per ridurre ulteriormente il costo del denaro — dice la Lagarde — , la politica monetaria deve essere espansiva». La direttrice generale del Fondo aggiunge una stoccata chiaramente rivolta alla Germania: «Bisogna lasciar salire l’inflazione, nei Paesi che se lo possono permettere».
Inflazione da aumenti salariali, s’intende, per stimolare i consumi. La critica del Fmi alla Bce si spiega con le diverse strategie delle banche centrali, alcune delle quali hanno una politica di attivo interventismo a sostegno della crescita. La Banca del Giappone è stata incaricata dal suo governo di manovrare lo yen verso la svalutazione competitiva, e di “creare inflazione” per stimolare consumi e investimenti. La Federal Reserve ha inventato per prima il quantitative easing,
politica di massicci acquisti di bond (85 miliardi al mese) che pompano liquidità  e schiacciano i tassi. La Fed si è data come obiettivo un tasso di disoccupazione sotto il 6,5%. Di conseguenza, anche il dato positivo di febbraio non dovrebbe modificare la strategia monetaria americana. Il banchiere centrale Ben Bernanke tiene d’occhio alcuni indicatori del disagio sociale che restano preoccupanti. Per esempio la percentuale dei disoccupati di lungo periodo ha continuato a crescere. È salita anche la quota di americani che lavorano a parttime ma avrebbero bisogno di un impiego a tempo pieno. Wall Street aveva anticipato il vigore di questa ripresa, i ripetuti record degli indici di Borsa (ai massimi storici) hanno segnalato la ritrovata fiducia degli investitori. A prolungare anche ieri il rialzo dei listini contribuisce la certezza che la Fed non cambierà  politica a breve: la “moneta facile” è un ingrediente essenziale del Toro (rialzo borsistico oltre il 20%). Potrebbe invece volgere al termine la fase del dollaro debole: con l’eurozona in sofferenza, i capitali si dirigono verso la moneta americana, associata alla ripresa degli investimenti e della redditività  delle imprese. Un dato importante è l’aumento della ricchezza delle famiglie americane, che hanno cancellato l’impatto della grande recessione sul valore dei loro patrimoni. A fine dicembre 2012 il valore netto della ricchezza delle famiglie è salito dell’1,8% raggiungendo quota 66.000 miliardi, più del terzo trimestre 2007. Un’incognita pesa però sulla solidità  futura di questa ripresa: i tagli automatici alla spesa pubblica. Si calcola che toglieranno 750.000 posti di lavoro quest’anno, perché l’Amministrazione federale è costretta a lasciare a casa in furlough (congedo non remunerato) una parte dei suoi dipendenti.

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