Dell’Utri condannato a sette anni E l’accusa chiede l’arresto

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PALERMO — Condannato a sette anni di carcere per concorso in associazione mafiosa, l’ex senatore Marcello Dell’Utri deve andare in carcere: custodia cautelare per il concreto pericolo di fuga dell’imputato. L’ha chiesta il sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio — secondo quanto hanno riferito ieri sera le agenzie di stampa — dopo la sentenza del secondo processo d’appello che nel pomeriggio ha confermato quella pronunciata nel 2010: sette anni di galera, per l’appunto. Manca il verdetto della Cassazione, che dovrebbe arrivare entro la metà  del 2014 per non far scattare la prescrizione. Ma nel frattempo Dell’Utri — non più parlamentare, e dunque non più protetto dalla relativa immunità  â€” potrebbe divenire «uccel di bosco», e dunque il rappresentante dell’accusa ritiene più prudente spedirlo in cella.
La decisione spetta ora ai giudici che ieri hanno dichiarato il cofondatore di Forza Italia, amico e stretto collaboratore di Silvio Berlusconi, colluso con Cosa nostra fino al 1992, l’anno delle stragi e dell’attacco frontale alle istituzioni. La pena inflitta è quella chiesta dal pubblico ministero, il quale nella sua requisitoria aveva spiegato che l’ex senatore, «forte delle sue amicizie tra gli uomini d’onore, fin dai primi anni Settanta ha permesso a Cosa nostra di contattare Silvio Berlusconi, di metterlo sotto protezione e di condizionare la sua attività  imprenditoriale».
Ad ascoltare la lettura del verdetto — il terzo di colpevolezza di fila — stavolta c’era anche l’imputato. Circostanza inedita, con la quale voleva forse far intendere di non avere intenzione di scappare e sottrarsi all’eventuale condanna definitiva. Perché dopo le vicende dello scorso anno il sospetto poteva venire. E infatti s’è puntualmente materializzato. A marzo 2012, poco prima della sentenza della Cassazione che se avesse confermato il primo appello avrebbe comportato l’arresto di Dell’Utri, facendolo decadere dalla carca di parlamentare, l’imputato vendette a Berlusconi la villa sul lago di Como, trasferendo un bel gruzzolo di milioni (intestato ai familiari) a Santo Domingo. Dove ha acquistato una casa. Preparava la latitanza? E adesso potrebbe coltivare lo stesso progetto?
Nel dubbio il pm ha sollecitato gli stessi giudici a ordinare la carcerazione preventiva. La decisione potrebbe arrivare nelle prossime ore, ma è anche possibile che la Corte d’appello abbia già  respinto la richiesta del pm. Dopo il verdetto, quando gli hanno chiesto se era sua intenzione proporre l’arresto dell’imputato, ha risposto sibillino: «Non è dato sapere». Poi, in serata, la notizia della sua richiesta. Senza però la decisione dei giudici.
Nel merito, la sentenza di ieri ha riportato la situazione a tre anni fa. Allora, nel giugno 2010, un diverso collegio di giudici pronunciò un verdetto analogo, riducendo la pena di primo grado proprio perché erano stati considerati non provati i rapporti tra l’imputato e Cosa nostra successivi al ’92, quando Dell’Utri contribuì a fondare il partito col quale Berlusconi si presentò sulla scena politica e vinse le elezioni del 1994. Ma lo scorso anno la Cassazione stabilì che per un’altra parte quella decisione andava motivata meglio, e la rispedì al mittente. Ora si torna alla precedente casella della partita giudiziaria (giacché l’assoluzione post ’92 è ormai «irrevocabile») con un verdetto che — commenta il pm Patronaggio — «fa giustizia».
Nell’ultima replica lo stesso pm aveva chiesto di non dichiarare già  prescritti i reati, come invece avevano suggerito (in subordine rispetto all’assoluzione) gli avvocati difensori Krogh, Di Peri e Federico. «I cittadini devono sapere se Dell’Utri è stato un mestatore e un colluso, o la vittima di una giustizia malata», aveva detto il rappresentante dell’accusa. Ma la prescrizione scatterà  comunque a metà  del prossimo anno, se prima non arriverà  una conferma della Cassazione.
Se dalla accertata «collusione» tra l’imputato e la mafia è rimasta esclusa la stagione politica di Dell’Utri al fianco di Berlusconi (contestata ora nel processo sulla cosiddetta trattativa, in cui l’ex senatore è imputato) resta intatto l’impianto dell’accusa e dei precedenti verdetti sui rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra negli anni Settanta e Ottanta. Grazie ai quali Dell’Utri ha svolto il suo ruolo di «costante mediazione» tra Cosa nostra e il fondatore della Fininvest, su cui i capimafia avevano messo gli occhi. Tramite lui, come ha già  sottolineato la Cassazione, fu stabilito un «accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi e l’imprenditore amico, Berlusconi».
Giovanni Bianconi


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