Craxi non fu un capo banda ma un leader della destra
A sostegno di questo acuminato giudizio, Scalfari cita il successivo passaggio, una volta conclusasi la centenaria vicenda socialista, di molti dirigenti craxiani dal Psi a Forza Italia – cioè, pare emergere implicitamente dalla requisitoria scalfariana, da una banda all’altra. Il tratto di continuità tra il Psi degli anni Ottanta e la Forza Italia dagli anni Novanta è così ravvisato nella diffusa immoralità ed illegalità dei gruppi dirigenti delle due compagini.
Non sta qui, a mio avviso, il nocciolo della questione, che interessa anche e soprattutto l’evoluzione della sinistra italiana nella seconda repubblica. Il problema fu semmai che una parte della sinistra, Pci in testa, non seppe scorgere, rappresentati dall’ex partito alleato, i tratti della nuova destra, e pertanto si relazionò col Psi con categorie antiquate e superate. Lo stesso discorso, a spanne, si potrebbe fare per tutti i partiti socialisti mediterranei degli anni Ottanta – non a caso Spagna, Portogallo, Grecia e Italia hanno avuto una evoluzione politica ed economica simile: partiti socialisti egemoni negli anni Ottanta come altrettante funzioni della torsione neo-liberista, e attuale crisi brutale figlia delle scelte allora compiute.
Quattro i caratteri di questa nuova destra: l’attacco ai salari e ai diritti del lavoro; la deregulation finanziaria; la denuncia della sopraggiunta inconciliabilità , parafrasando Jacques Le Goff, tra “tempi del profitto” e “tempi della democrazia”, (risiede qui, pare, l’asse portante del discorso sulla “governabilità ” e la “grande riforma istituzionale”; ma anche la causa dell’attacco classista portato contro l’indipendenza della magistratura, comune non a caso alle due esperienze); il contemporaneo ruolo affidato ad una spesa pubblica ipertrofica, intesa non come motore di sviluppo a lungo termine, ma come strumento di acquisto del consenso a breve termine. Tutte caratteristiche, quelle elencate, che poi hanno costituito parte integrante della destra berlusconiana. Ecco dove, a mio parere, risiede il limite del discorso scalfariano: tra Craxi e Berlusconi la continuità da sottolineare, per comprendere la sconfitta politica della sinistra, è la continuità della destra, non la continuità del malaffare.
Il Pci e la sinistra ad esso più prossima non compresero il Psi perché non compresero la società italiana, delle cui mutazioni invece Craxi si fece accorto corifeo ed al contempo timoniere – pur non riuscendo il leader socialista a trarre dal suo insieme di intuizioni un adeguato corrispettivo nei numeri, è tuttavia palese che a proposito del decennio in questione si possa parlare di un’Italia craxiana, proprio come si è parlato di un’Italia giolittiana, degasperiana ecc. ecc..
Ciò detto, non ci si vuole qui unire al coro di chi, messo alle spalle il conflitto destra-sinistra per come esso si è caratterizzato nel Novecento, riduce il gioco politico alla coppia modernizzazione/conservazione, e da questa riduzione fa discendere una presunta necessità per la sinistra di buttare a mare l’eredità del Pci perché conservatrice, e di farsi invece carico di quella di Craxi perché modernizzatrice: tutte le sconfitte della sinistra nell’ultimo ventennio sono in sintonia con l’adozione di tale paradigma. Più propriamente, si deve dire che è mancato alla sinistra italiana (ed europea?) nello scorcio finale del secolo scorso un Gramsci, cioè l’elaborazione di un pensiero critico della modernità che dalla modernità stessa – e non dal suo rifiuto – traesse linfa per riprogettare il cambiamento rivoluzionario. Mi sia permesso, a questo proposito, di ridondare. Come non esisté un oggi tanto propagandato Gramsci liberale – limitato cioè alla comprensione dell'”americanismo”, e orbato della carica rivoluzionaria volta a fuoriuscire da tale paradigma- così il limite della sinistra degli anni Ottanta non fu, come da più parti in maniera altrettanto forte propagato, di non essersi allineata al modernizzatore, ma di non comprendere criticamente quella realtà , per cambiarla.
Tornando a Scalfari. L’errore di una parte della sinistra fu senz’altro quello di non combattere il craxismo. Ma un’altra parte, altrettanto consistente, lo combatté con categorie inadeguate: come “capo-banda”, appunto, non come capo della destra. Proprio come, negli ultimi anni, le aspre denunce contro le scelte da “capo-banda” compiute da Berlusconi sono state accompagnate da un sostanziale consenso attorno alle principali scelte di natura economica, un consenso suggellato dal consenso bipartisan al governo Monti.
Opporsi con strumenti e categorie nuove alla marea montante della destra di allora non avrebbe risparmiato, con tutta probabilità , alla sinistra di allora sonore sconfitte. Troppo dispari le forze in campo. Ma adesso la stessa sinistra avrebbe basi più adeguate dalle quali ripartire.
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