by Sergio Segio | 30 Marzo 2013 9:05
Il dittatore ha messo in allarme le basi missilistiche giurando di «regolare i conti» con i nemici. Poco dopo i media di Pyongyang hanno diffuso foto, ormai consuete in queste settimane, del leader che presiede riunioni con i generali, esamina mappe, impartisce disposizioni all’apparato militare. Agitazione che ha avuto un riscontro immediato sul terreno. I satelliti spia e, probabilmente, i velivoli U2, impegnati a tenere d’occhio cosa avviene nella Corea del Nord, hanno segnalato una «attività intensa» nelle installazioni missilistiche. Particolari — secondo gli 007 — i movimenti a Tongchang-ri, il sito da dove a metà dicembre è stato lanciato un vettore per satelliti.
Per Pyongyang non si tratta di provocazioni ma della risposta all’invio da parte di Washington di un paio di bombardieri B2 che si sono uniti alle esercitazioni nel Sud. Ma, a sua volta, il Pentagono ha giustificato la mobilitazione dei sofisticati aerei come un messaggio deciso al Nord. Insomma, un avviso a non superare un’altra fatidica linea rossa con qualche iniziativa che potrebbe scatenare una rappresaglia.
La Casa Bianca ha affermato che il Nord «si isola con la sua retorica di guerra» e ha ribadito l’impegno «a tutela degli alleati della regione… siamo in grado di difenderli». Intensi anche i contatti diplomatici degli Usa con Russia e Cina, «interessate anche loro a una situazione pacifica». Mosca, da parte sua, ha invitato alla moderazione: «Evitiamo soluzioni unilaterali», è stato l’appello del Cremlino. Resta da capire quanto i fervorini della diplomazia possano avere effetto sulla psicologia e le scelte di Kim, figura del quale si sa poco.
Gli analisti che studiano da anni la Corea del Nord hanno una doppia valutazione. La prima è preoccupata: in passato il regime non ha esitato a colpire il Sud, bombardando un’isola, affondando una nave militare, organizzando attività coperte. La seconda è più pragmatica: fintanto che Kim «abbaia» non ci sarebbe da preoccuparsi, l’allarme dovrebbe scattare quando il dittatore resta muto. Il vero obiettivo di Pyongyang — aggiungono — è quello di tornare al tavolo delle trattative da una posizione di forza. E le sue gesticolazioni sarebbero anche legate al tentativo di imporsi come guida suprema.
E si ritorna così alle immagini diffuse dall’agenzia di regime con Kim seduto a un grande tavolo dove c’è un computer IMac della Apple, l’immancabile posacenere per il dittatore accanito fumatore e una mappa dal titolo significativo: «Piano delle forze strategiche per colpire il territorio americano». Sulla «carta» poi le traiettorie che dalla Nord Corea raggiungono le principali città statunitensi, la costa Est e Ovest dell’America, le Hawaii. Tutti obiettivi che, a giudizio degli esperti militari, sono ben lontani dalle capacità belliche della Corea del Nord. Inoltre non sono pochi gli osservatori che sottolineano come i mezzi della grande Armada coreana dovrebbero essere visti alla prova sul campo.
Interpretazioni che hanno certamente un fondamento ma che non sono sufficienti a placare i timori. Perché se davvero Kim è la classica «tigre di carta» che bisogno ci sarebbe di replicare schierando mezzi sofisticati come B52 e B2? E come spiegare i toni usati dalla Casa Bianca?
La verità è che tutti paventano l’incidente o la provocazione. La Cina, l’unico Paese ad avere qualche influenza su Kim e ad avere informazioni più precise su quanto accade dietro il muro, si aggrappa a «sforzi comuni per riportare la distensione». Sembrano meno tranquilli i russi, abituati a gestire momenti di tensione: temiamo che la situazione «vada fuori controllo».
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