Cipro, dall’Eurogruppo via libera all’accordo congelati i depositi più ricchi
BRUXELLES — Un accordo dell’ultimissima ora per salvare Cipro. E’ stato raggiunto alle 2 di notte dai ministri finanziari dell’eurozona con il governo dell’isola, che alla fine ha dovuto accettare una profonda ristrutturazione del proprio sistema bancario. L’intesa prevede la chiusura della Laiki Bank, trasformata in «bad bank», congelamento dei depositi sopra i 100mila euro e il trasferimento dei conti al di sotto della soglia garantita alla Cyprus Bank, la «good bank». No ai prelievi forzosi dello stato sui conti correnti, ma i grossi capitali finirebbero per essere congelati.
Per la prima volta nella storia della Ue, sul tavolo dell’eurogruppo è stata posta concretamente l’ipotesi dell’uscita di un Paese dall’Unione monetaria. La sorte di Cipro è stata appesa al filo di una trattativa drammatica e molto confusa. La riunione dei responsabili europei avrebbe dovuto cominciare alle 18. Rinviata poi alle 20, quindi alle 21 e infine alle 22 mentre il presidente cipriota, Nicos Anastasiades, discuteva con il presidente del Consiglio, Van Rompuy, della Bce, Draghi, dell’Ecofin Dijsselbloem, con Barroso e con Christine Lagarde del Fmi. La riunione è stata tesissima. «Se sono le mie dimissioni che volete, sono pronto a darle anche subito», si è sfogato Anastasiades, appena eletto presidente. «Continuo a fare nuove proposte e voi continuate a respingerle ». Ma di fronte si è trovato un vero e proprio muro. Le autorità europee, in sintonia con la maggioranza dei governi, esigono che Cipro metta almeno 7 dei 17 miliardi necessari per evitare la bancarotta. Cifra non campata per aria, ma dal calcolo della somma necessaria per evitare che il debito dell’isola schizzi al di sopra del 100% del pil e diventi insostenibile, come per la Grecia.
L’Europa, però, questa volta non si è accontentata di una soluzione contabile. Ha preteso una profonda ristrutturazione di tutto il sistema Paese per porre fine alla «economia-casinò», come l’ha definita sprezzantemente il francese Moscovici.
La bancarotta dell’isola nasce dal dissesto delle sue banche, che hanno depositi per oltre 7 volte il Pil nazionale, gonfiate da capitali stranieri, russi ma anche britannici. Una prima formula di salvataggio, che prevedeva un prelievo forzoso su tutti i depositi bancari in cambio di un prestito europeo per 10 miliardi, è stata respinta all’unanimità dal Parlamento cipriota e suscitato proteste di piazza. Era il governo cipriota a non voler rinunciare ai grossi investimenti stranieri affluiti nell’isola. Tuttavia gli europei si sono dimostrati irremovibili: la salvezza del Paese deve passare non solo dal finanziamento del fondo salva stati ma anche da una profonda ristrutturazione del suo sistema bancario che faccia pagare ai capitali stranieri almeno una parte del riaggiustamento. Ieri, dopo giorni di durissimi negoziati con i rappresentanti di Commissione, Fmi e Bce, Anastasiades è tornato con nuove proposte, non convincenti per i suoi interlocutori. La stampa cipriota ha anticipato l’idea di una strana «tassa» del 20% sui depositi oltre i 100mila euro ma solo per la Bank of Cyprus, la principale del Paese, mentre i grandi capitali depositati nelle altre banche dell’isola, in prevalenza russi, verrebbero decurtati solo del 4%. In realtà la partita che i ministri si sono trovati a giocare andava ben al di là degli importi relativamente modesti necessari a salvare l’isola dalla bancarotta. La posta in palio era la possibilità , molto concreta,
che per la prima volta un Paese membro della moneta unica potesse decidere di abbandonare l’euro e tornare alla valuta nazionale. Una simile eventualità , evidentemente, avrebbe avuto ripercussioni molto più ampie rimettendo in discussione la tenuta stessa di tutta l’eurozona. Una prospettiva che i governi sono riusciti ad evitare per un soffio.
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