Cercando utopia
Da oggi al 24 marzo si svolge a Monte Verità (Ascona, Ticino) «Utopie e magnifiche Ossessioni», quattro giorni di incontri, conversazioni, teatro, musica e letture con la direzione artistica di Irene Bignardi, Paolo Mauri e Joachim Sartorius. Partecipano Hans Magnus Enzensberger, Claudio Magris, Mathias à‰nard, Vladimir Sorokin. Patrizia Cavalli canterà i suoi versi accompagnata dalla musicista Diana Tejera. L’architetto Diébédo Francis Kéré discuterà con Mario Botta. Tutti sollecitati dalla domanda di Peter Sloterdijk: «Perché le utopie falliscono?». Il filosofo Salvatore Veca interverrà con «Il senso della possibilità . Frammenti di un discorso utopico», da cui prende avvio questo dialogo con Maurizio Ferraris.
FERRARIS:
Spesso si contrappone la realtà alla possibilità e si vede nella realtà qualcosa di intrinsecamente negativo, capace soltanto di resistere e di opporsi. Ora, indubbiamente, il reale ha questa caratteristica. Al tempo stesso, però, è la fonte del possibile, perché è proprio a partire da quello che c’è che si aprono le possibilità . In fondo, quello che dico è già tutto scritto nell’Estetica di Baumgarten, un leibniziano, dunque un filosofo molto affezionato alla possibilità . Che raccomanda agli scrittori a corto di argomenti di consultare un “manuale ontologico”, cioè un libro che conteneva una classificazione di oggetti. Dentro a quegli oggetti si nascondevano delle storie. Dentro alla realtà , a quello che c’è, è per così dire “incassata” la possibilità , quello che può esserci. È proprio perché ognuno di noi è quello che è, con la sua storia e la sua natura, che gli si aprono certe possibilità invece che certe altre.
VECA:
Nei miei Frammenti di un discorso utopico chiedo a Robert Musil una risposta alla faccenda complicata della contrapposizione o della semplice distinzione fra realtà e possibilità . Nelle prime pagine del suo L’uomo senza qualità , Musil ci ricorda che il vecchio professore, il papà di Ulrich, sapeva benissimo che gli stipiti delle porte sono duri e che sbattergli contro la testa faceva sicuramente male. Questo è all’origine del postulato del senso della realtà . Ma, aggiunge Musil, se c’è qualcosa come il senso della realtà , deve anche esserci da qualche parte qualcosa come il senso della possibilità . L’inemendabilità del reale, nel senso in cui tu la sostieni, non è incompatibile con il senso della possibilità . E il vecchio Baumgarten era un devoto del grande Leibniz, secondo cui i mondi possibili sono in ogni caso debitori e tributari nei confronti del mondo reale, in cui ci accade di vivere. Nei Frammenti ho chiesto naturalmente una mano a Leibniz, che mi ha suggerito di riflettere su un superbo pezzo della sua appendice a Sull’origine radicale delle cose.
FERRARIS:
Bismarck ha definito la politica “l’arte del possibile”, con quella che è dopotutto — e non senza una qualche ironia — una variante di “l’immaginazione al potere”. Entrambi gli slogan, però, peccano in qualche modo per difetto. Perché non solo la politica, ma ogni momento della nostra vita sembra attraversato dalla possibilità e dall’immaginazione che ce la rappresenta. Il rimorso, il rimpianto, la speranza e la paura sono stati d’animo che nascono proprio dalla consapevolezza del possibile, di cose che sono andate in un modo quando avrebbero potuto andare in un altro modo, di cose che potrebbero accadere e la cui semplice possibilità produce degli effetti, da una notte rovinata dalle preoccupazioni alle speculazioni in borsa. Insomma, una caratteristica essenziale della vita reale è la consapevolezza che ciò che accade in un modo avrebbe potuto accadere altrimenti, e che quello che abbiamo fatto avrebbe essere potuto venir fatto in un altro modo (generalmente, migliore. A meno che si faccia avanti la consolazione, che di nuovo corre sul filo del possibile, del “poteva andar peggio”).
VECA:
Non c’è dubbio che ogni momento della nostra vita sia attraversato, come tu dici, dalla possibilità e dall’immaginazione che la rappresenta. Ma sarei più prudente e parsimonioso, in proposito. Vi sono circostanze in cui le nostre vite sono inchiodate dal senso della realtà , trasformato e congelato nel senso della necessità . L’arte del possibile di Bismarck può sistematicamente slittare nella massima della signora Thatcher, secondo cui “non c’è alternativa” e l’immaginazione al potere può sbattere la testa contro gli stipiti duri del vecchio professore di Musil. Di questi tempi, non vorrei buttarla in politica, in ogni caso. Perché anche nelle nostre ordinarie questioni di vita può darsi il caso che il senso della possibilità e le nostre risposte in termini di rammarico, speranza, paura o rimpianto evaporino e lascino il campo alla percezione opaca della necessità . A volte, molto più spesso di quanto sarebbe desiderabile, della falsa necessità . In queste circostanze l’alone delle possibilità si contrae. L’ombra del futuro sul presente si accorcia. Come sembra accadere nella crisi sistemica e strutturale in cui siamo intrappolati. Nei miei Frammenti suggerisco che tutto ciò è semplicemente evitabile. Anche se difficile. A volte, molto difficile.
FERRARIS:
A un certo punto Borges parla di una «Russia amabile e fastosa, calpestata dai palafrenieri e dagli utopisti». Con questo manifesta il suo ben noto conservatorismo. Borges però è stato, al tempo stesso, uno dei più grandi scrittori della possibilità : pensa a novelle come Il giardino dei sentieri che si biforcano.
A prescindere dalla valutazione storica, perché la «Russia amabile e fastosa» era un mondo arretrato e radicalmente ingiusto, Borges ci suggerisce di separare il senso del possibile da un uso generico e spesso nefasto dell’utopia come fuga dalla realtà .
VECA:
La grande tradizione del pensiero utopico è ricca di flop micidiali. Buona parte delle utopie, che disegnano modi di convivenza, istituzioni e pratiche sociali, consegnano tranquillamente il senso della possibilità al ferreo destino della necessità . Le utopie di mondi sociali possibili sono immunizzate rispetto al tempo e, soprattutto, alla libertà delle persone. I rituali di Fourier esemplificano regimi disciplinari. Qui sono d’accordo con te, quando dici che il senso del possibile dovrebbe essere separato da un uso generico e spesso nefasto dell’utopia come fuga dalla realtà . Per questo mi avvalgo dell’idea di John Rawls, il grande teorico della giustizia sociale, di utopia realistica. Un modo di esplorare possibilità alternative, entro lo spazio che il mondo ci concede. Il realismo definisce i vincoli entro cui sono per noi accessibili mondi possibili, più degni di lode o solo meno degni di biasimo. È difficile tuttavia non chiedersi: un mondo senza utopie non sarebbe per noi un mondo più povero? Non avvertiremmo un senso di perdita e dissipazione? Qui, forse, ci può aiutare il grande Max Weber: «È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile».
FERRARIS:
C’è una storia ebraica che raccontava Derrida. Cristo, il Messia, è giunto, gira per Roma vestito da mendicante. A un certo punto uno lo riconosce e gli chiede «Quando verrai?». Che sembra la quintessenza del messianismo: il Messia è per sua natura qualcuno che deve essere atteso e quando si presenta non è il vero messia. Questo sembra essere anche il destino delle utopie, che per definizione non possono realizzarsi, perché se si realizzano cessano di essere utopie. Al tempo stesso, si capisce il senso e la centralità del messianismo nell’esperienza umana, come speranza, che definisce l’elemento, per così dire, intrinsecamente utopico della vita (in definitiva, la depressione potrebbe essere definita come un drastico azzeramento dell’utopia).
VECA:
La storia ebraica di Derrida sul Messia mi fa venire in mente un’altra storia ebraica, quella di Walter Benjamin. Quando ci dice che agli ebrei era vietato investigare il futuro. Perché la Torah e l’interpretazione li istruiscono nei vocabolari della memoria. Ma non per questo, sostiene Benjamin, il futuro è diventato per gli ebrei un tempo vuoto e omogeneo. Perché ogni secondo, in esso, è la piccola porta da cui poteva entrare il Messia. Tutto ciò ha a che vedere con il senso della possibilità quando lo mettiamo a fuoco, come tu suggerisci, nell’esperienza umana. Nelle vite che ci accade di vivere. Nei Frammenti propongo una riflessione sulle nostre vite come un repertorio o un palinsesto di possibilità . Lo faccio chiedendo aiuto a Hermann Hesse e alla vicenda del suo Siddhartha.
Il repertorio delle possibilità getta luce, in questo caso, sulla nostra possibilità di reinventarci, di perderci, di inciampare, di errare e di ritrovarci nel tempo. Nelle nostre vite congetturali, fra contingenza, scelta e stipiti duri del vecchio professore. Ho l’impressione che qui si possa riconoscere, almeno per un tratto sfuggente ed elusivo, qualcosa come la nostra dignità . In un senso sorprendentemente illuministico. Sento che Diderot, a occhio, sarebbe d’accordo.
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