C’era una volta Olivetti La triste parabola dell’informatica in Italia

by Sergio Segio | 9 Marzo 2013 7:46

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In Italia il risultato immediato di questo fenomeno è stato l’oscuramento della centralità  delle tecnologie informatiche e soprattutto del software, leva operativa per tutti i settori in fase di convergenza, e la trasformazione dell’informatica in commodity, con il conseguente disinteresse per le attività  di ricerca e sviluppo e per gli investimenti nell’innovazione. Questa disattenzione, che contraddistingue in modo negativo l’Italia rispetto agli altri paesi d’Europa, è anche conseguenza della debolezza della nostra industria e delle politiche pubbliche degli ultimi decenni. Un’ulteriore alterazione degli equilibri del mercato è stato portato dall’emergere delle reti elettroniche. Alla fine degli anni Ottanta alcuni studiosi del Mit avevano iniziato a studiare le conseguenze dell’avvento delle reti elettroniche nei mercati.
La conclusione della loro analisi fu che l’avvento delle reti avrebbe reso più facile affidare al mercato operazioni prima svolte in modo tradizionale all’interno dell’azienda. Si sono avviati così fenomeni destinati a lasciare tracce profonde nel futuro: commercio elettronico, esternalizzazioni, delocalizzazioni fino ai fenomeni più recenti del cloud computing nel quale le risorse di calcolo non sono in possesso dell’utente, ma pagate a consumo attraverso la rete. (…) Il software e la sua industria non ammettono parallelismi con altri settori manifatturieri o di servizio. La sua natura di bene economico è difficilmente definibile. Proviene da un atto di creazione di singoli o di gruppi di individui, ma è concepito in collaborazione con chi lo utilizzerà  in futuro. Persino i titoli di proprietà  del bene sono messi in discussione dai copyleftist e comunque sono regolati dalle leggi sulla proprietà  intellettuale. Il software è ubiquo e spesso incorporato in apparati senza che se ne abbia la percezione. Il software, in ultima analisi, è «l’espressione di un comportamento definito da un programmatore, cioè da una persona. Da questo punto di vista l’attività  di creazione di un software non è molto differente da quella di una scrittura creativa.
La componente di invenzione e di improvvisazione creativa che esso incorpora (e che è anche all’origine di molti problemi che l’ingegneria del software cerca invano di rimuovere) è fondamentale e conferisce caratteristiche di originalità  e unicità  ad ogni nuovo software. Per mancanza di visione, indotta da questo paradigma culturale, e anche per la contrazione degli investimenti, le imprese non hanno affrontato progetti strategici e sfide tecnologiche, ma hanno limitato i loro interventi a modesti aggiustamenti del proprio patrimonio tecnologico in attesa di tempi migliori. Ciò ha portato a un progressivo impoverirsi dell’offerta con declino ormai decennale del valore del mercato, calo delle retribuzioni presso i fornitori, scarsa valorizzazione dei talenti, svalutazione delle carriere tecniche e del valore della conoscenza. (…)
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