Caro denaro, ecco lo spread killer costa 14 miliardi in più che a Berlino

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ROMA — Lo “spread” non fa soffrire solo i conti pubblici, ma anche quelli delle piccole imprese che — in tempi di crisi — devono fare i salti mortali per ottenere l’accesso al credito e quando raggiungono l’obiettivo lo pagano a caro prezzo. Un prezzo molto più alto di quello richiesto ai colleghi degli altri Paesi europei, Germania in testa.
A misurare il difficile rapporto delle piccole imprese con il sistema bancario e con i prestiti, «carburante» della corsa alla ripresa, è uno studio della Confartigianato che dimostra come la politica monetaria espansiva — quando c’è — da noi produce effetti più deboli che altrove. Se la Bce la applica, segnala il rapporto, le imprese italiane ne beneficiano in misura minore rispetto a quelle concorrenti: alla fine del 2012 nell’Eurozona i tassi di riferimento si sono abbassati di 81 punti base nell’anno, ma in Italia lo «sconto» si è fermato a quota 55. Il divario fra i maggiori tassi pagati dal sistema produttivo in Italia piuttosto che in Germania fa sì che per gli imprenditori italiani il credito sia costato 14,3 miliardi di euro in più l’anno. Le più penalizzate sono state le aziende che hanno richiesto prestiti fino a 250 mila euro: i tassi a loro carico sono risutltati più costosi (4,88 per cento) e i meno inclini alla diminuzione (sono scesi solo di 40 punti base nell’anno). Ma anche restando ai livelli medi il divario europeo è notevole: in base ai dati aggiornati al dicembre scorso il tasso medio sui nuovi finanziamenti in Italia risulta fermo al 3,65 per cento, il più alto fra quelli registrati nei maggiori Paesi dell’Area euro a 17. La Germania gode del tasso più basso: 2,17 per cento, inferiore al nostro di ben 148 punti base, mentre rispetto alla media europea siamo più alti di 97 punti.
Gap molto pesanti destinati a veder moltiplicare i loro effetti: «La febbre da spread ha determinato in due anni una maggiore spesa per interessi per 19,4 miliardi senza la quale — precisa Confartigianato — avremmo potuto ridurre dell’80,8 per cento l’Irap pagata dalle imprese, che è stata pari a 24 miliardi di euro».
Per le aziende il problema del credito va dunque letto assieme a quello del fisco. «Le nostre rilevazioni — sottolinea Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato — confermano purtroppo che la situazione creditizia delle imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, rimane molto critica. Quel che è più grave è che gli imprenditori debbono ricorrere al credito bancario per pagare le tasse e per compensare i mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione e delle altre aziende». Per affrontare i problemi di liquidità  degli imprenditori, precisa, «serve uno sforzo straordinario e un impegno responsabile da parte del sistema bancario».
Gli effetti del «credit crunch» sono d’altra parte evidenti: gli artigiani fanno notare come la recessione, nel 2012 abbia fatto cadere del 9,1 per cento la domanda di beni d’investimento e di come gli investimenti stessi siano tornati ai livelli di quindici anni fa. A novembre dello scorso anno lo stock di finanziamenti concessi al sistema produttivo ammontava a 875,2 miliardi: meno 6,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. Il 18,7 per cento di tale quota (163,6 miliardi) è andato ad imprese con meno di venti dipendenti, e la riduzione di tale fetta di credito (meno 5,9 per cento) ha penalizzato soprattutto le micro e piccole imprese del Sud.


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