Camere, l’ipotesi di accelerare i tempi

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BERLINO — «Andare a votare di nuovo non mi interessa… l’importante è dare un governo all’Italia, poi nel merito non entro, perché me ne occuperò più avanti… Non ho il potere di scioglimento delle Camere. E dubito che un nuovo presidente pensi soltanto a sciogliere le Camere».
Giorgio Napolitano taglia corto con le supposizioni di chi si esercita ad almanaccare sull’esito del Gran Consulto con i partiti che dovrebbe cominciare il 20 marzo al Quirinale, scommettendo già  che si concluderà  con un fallimento. Un’ipotesi alla quale il presidente non si rassegna, nell’interesse del Paese. Lo dimostra il fatto che il presidente, d’intesa con Palazzo Chigi, sarebbe pronto a firmare un decreto per anticipare la convocazione delle Camere dal 15 marzo, che è un venerdì, al 12 marzo, martedì. Tre giorni che permetterebbero in realtà  di guadagnare quasi una settimana, nel percorso destinato a concludersi con l’avvio delle consultazioni. E, dato quel che accade sui mercati e considerate le inquietudini delle Cancellerie europee (Germania in testa), non sarebbe comunque poca cosa. Soprattutto significherebbe, per lui, avere un margine maggiore nel «proibitivo» impegno di avviare una nuova fase politica e — assieme ai partiti — trovare un governo per il Paese.
Guadagnare tempo, non arrendersi: a questo pensa Napolitano. Che sembra infastidito nel ritrovarsi ancora costretto a spiegare che, per effetto del voto e dell’incrocio di scadenze che ha appena portato alla nascita di un nuovo Parlamento mentre lui è ancora per un altro po’ in carica, si è riattivato il «semestre bianco», periodo in cui l’inquilino del Colle non può chiudere la legislatura. Non può farlo anche se lo volesse, e non lo vuole. Non solo: esclude pure che il suo successore sia pronto a gettare subito la spugna e non si preoccupi invece di fare ogni sforzo per assicurare un governo al Paese.
No, non è uno scenario verosimile, questo, per Napolitano. Allo stesso modo sono fuori dalla realtà  le ipotesi di un più o meno breve «congelamento» suo al Quirinale (magari appaiato da un’analoga «ferma» dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi). «L’ho già  detto tante volte, la decisione è automatica… quando sono finiti i sette anni bisogna procedere all’elezione di un nuovo presidente. Non esistono proroghe, non esistono elezioni a tempo», replica sbuffando a quei cronisti che gli girano queste bislacche teorie. E aggiunge: «Francamente non credo sarebbe onesto dire che fino all’età  di 95 anni io posso fare tranquillamente il capo dello Stato. La carta d’identità  conta, e i padri costituenti concepirono il ruolo del presidente sulla misura dei sette anni… Così, sono convinto che non sia un caso che nessun presidente, nella storia repubblicana, abbia avuto un secondo mandato».
Caso chiuso, dunque? Chissà . Nella ricerca di un modo — anche non canonico — per uscire dallo stallo, non si può escludere che qualcuno rilanci soluzioni di questo genere. Che restano non gradite, oltre che impraticabili, per il capo dello Stato. Il quale, nella sua ultima giornata in Germania, si affanna a difendere ancora l’affidabilità  dell’Italia, dichiarandosi «sereno» perché «sapremo superare le difficoltà  che ci sono davanti nelle prossime settimane». Assicurazioni che offre ai padroni di casa, a margine di una lectio magistralis sull’Europa tenuta alla Humboldt Universitaet. Riflessione nella quale lega insieme la storia remota dell’Unione con quella più recente. E che chiude con una perorazione: se è vero che in Europa «siamo tutti nella stessa barca» e se è vero che perfino la forte economia tedesca «è esposta ai contraccolpi dell’onda recessiva», allora «sarebbe lecito attendersi dalla Germania un impulso espansivo come contributo ad una reale, e non solo proclamata, ripresa della crescita e dell’occupazione».


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