Buttati Pier Luigi

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Vorrebbe evitare un tentativo destinato a sicuro fallimento. E puntare invece da subito sulla costruzione di un governo «del presidente», pronto prima che le camere comincino a votare il nuovo inquilino del Quirinale. Bersani però è convinto di avere qualche chance e il diritto di fare la prima proposta. Per questo ieri ha inviato a tutti i parlamentari i famosi otto punti: il suo programma di governo.
 La mossa di Bersani non può derubricarsi a gesto di cortesia tra colleghi parlamentari. È al contrario un gesto che potrebbe persino essere preso con un po’ di fastidio al Quirinale, come una forma di pressione indebita. Il presidente della Repubblica non ha ancora deciso se toccherà  al segretario del Pd avanzare proposte di governo. E non è neppure detto che lo decida oggi. Anche se il segnale certo che arriva dalla prima giornata di consultazioni è la fretta del capo dello stato. Sia il presidente del senato Pietro Grasso che la presidente della camera Laura Boldrini hanno consegnato ai giornalisti all’uscita dallo studio alla Vetrata un identico messaggio: «C’è la necessità  assoluta di dare al paese un governo il prima possibile».
Che Bersani sia intenzionato ad andare avanti – malgrado nel Pd ci sia chi lo avverte quotidianamente del rischio di finire contro un muro – lo conferma non solo la riproposizione degli otto punti, ma anche quello che ha detto Nichi Vendola al Quirinale. Tocca a Bersani provarci, perché «c’è un vincolo che si chiama democrazia». Il segretario del Pd ha vinto le primarie del centrosinistra e guida la prima coalizione del parlamento. «Ovviamente – ha aggiunto Vendola – tocca a Bersani esprimere il suo impegno sul terreno più alto di innovazione politico-culturale». Si tratta di quello che è stato immediatamente ribattezzato «il metodo Grasso». Che è il contrario del passo indietro del segretario, ma piuttosto la capacità  di proporre una soluzione – in questo caso il programma e soprattutto i nomi dei ministri – in grado di aprire un varco nell’intransigenza grillina.
L’altro gruppo importante consultato ieri, quello di Mario Monti, viene considerato per acquisito alla causa dell’ (eventuale) governo Bersani. Anche se i centristi sono andati a ripetere al Quirinale le lodi dell’esecutivo uscente e l’esigenza di un raccordo tra «le principali forze politiche». Ma non sarà  Bersani l’uomo del «governo di concordia» come con una capriola l’ha definito ieri Berlusconi, che tende la mano e contemporaneamente organizza la prova di forza in piazza. Monti non ha grandi margini di manovra, soprattutto perché la sua Scelta Civica sta già  morendo di mancata crescita. Lo scarso risultato elettorale alimenta quotidiane liti, ieri lo stesso Monti si è detto «disgustato» dalle critiche che gli arrivano dall’interno. Scelta Civica è stata l’unico gruppo a presentarsi da Napolitano con una delegazione lottizzata: erano in quattro.
Quanto a Beppe Grillo – che stamattina sarà  al Quirinale con i capigruppo Lombardi e Crimi ma senza Casaleggio, fermato da un malore presumibilmente diplomatico – è scontato che non aprirà  alcuno spiraglio a Bersani. Perdonati, ma avvisati i senatori dissidenti che hanno votato Grasso, il capo politico del Movimento 5 Stelle cerca di tenere i suoi su una linea di rigida chiusura. Al capo dello stato chiederanno di affidare a loro il governo, una provocazione che ha lo stesso fondamento della precedente proposta di far andare avanti il governo Monti anche senza la fiducia delle nuove camere. Grillo sa di dover affrontare una certa quota di rischio, di fronte al tentativo di Bersani: il gruppo non è un monolite e lo ha dimostrato. Per questo potrebbe far balenare al capo dello stato la disponibilità  a valutare altre proposte, un po’ quello che i nuovi «comunicatori» (adesso già  in silenzio stampa) hanno detto martedì, forse anticipando troppo la strategia.
L’esigenza di Napolitano di fare presto e la volontà  di Bersani di provarci potrebbero trovare un punto di incontro con un incarico esplorativo, dunque non pieno, affidato al segretario Pd ma con una scadenza rapida, due o tre giorni. Un prendere o lasciare che lascerebbe il tempo per un successivo tentativo presidenziale affidato a Grasso o al direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni. In poche ore Bersani dovrebbe a quel punto mettere insieme una squadra di livello e contare fino all’ultimo i numeri del senato. Dove ieri si sono formati i gruppi: il segretario del Pd, con il sì dei montiani, non sarebbe lontanissimo dalla quota di sicurezza di 161 sì: parte da 145. Basterebbe in teoria qualche assenza, almeno per muovere i primi passi. Ai grillini manca e mancherà  ancora per un po’ un voto, una senatrice (Mangili) vuole dimettersi, ma la nuova (Pittau) che era venuta a Roma è stata rimandata a casa: tempi lunghi.


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   L’AGONIA interminabile della Seconda Repubblica ha prodotto un paradosso evidente, ma ormai sempre più stridente. Un’alternativa politica palesemente impresentabile (il centrodestra) o non ancora compiutamente spendibile (il centrosinistra) ha reso necessario il governo tecnico di Mario Monti. Per oggi, e secondo molti anche per domani. Ma mentre la credibilità  personale del presidente del Consiglio si consolida, nei partiti e nel Paese crescono a dismisura l’insofferenza e l’avversione verso le politiche del suo governo.

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