Bersani: il mio tentativo non è morto Pd al bivio nella corsa al Quirinale

by Sergio Segio | 31 Marzo 2013 7:34

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ROMA — Poteva esplodere subito, il Pd, posto alla scelta del governo. La deflagrazione ora è rinviata ed è un altro il motivo per cui nel Partito democratico si accenderà  la miccia. Ora che Napolitano ha preso tempo è l’elezione del presidente della Repubblica il primo punto all’ordine del giorno nell’agenda dei partiti, Pd incluso, ovviamente.
Il segretario ha parlato con il capo dello Stato, ha accolto la sua proposta di cui non sapeva niente perché non poteva fare altrimenti (raccontano i bene informati che Massimo D’Alema, invece, fosse stato allertato e consultato in tempo), tant’è vero che ci tiene a ribadire: «Noi non abbiamo fornito nessun nome, anche quelli di esponenti del Pd non sono stati scelti da noi ma dalla presidenza della Repubblica».
Insomma, Bersani non capisce, ma si adegua, con una clausola: «Il mio tentativo non è morto. Non perché io sia un irresponsabile come va dicendo in giro Berlusconi: il Cavaliere sa bene che un governo tra noi e il Pdl farebbe scoppiare la rivoluzione in Italia, perciò rifiutarlo è da responsabili. Tra l’altro, nonostante quello che lui ha detto al Quirinale, se io gli avessi dato la presidenza della Repubblica lui avrebbe detto di sì al mio governo. E allora chi è l’irresponsabile?».
Il leader del Pd ha capito che il Cavaliere punta a farlo passare come la causa dell’attuale situazione. Però Bersani non ci sta: «Io sono stato sin troppo responsabile. Tutti sanno che il governo a guida Pd era l’unico in grado di governare questo Paese. E io non ho mai posto pregiudiziali personali, ho sempre solo pensato e detto che un governo politico poteva evitare il collasso della democrazia in Italia e lo penso ancora».
Già , lo pensa ancora ma mette la sordina su ogni polemica perché sa qual è il gioco degli avversari: «Berlusconi mi vuole far passare come quello che manda l’Italia alle elezioni in queste condizioni. Proprio me che sull’altare della responsabilità  mi sono sacrificato tante e troppe volte». È una partita ad altissimo rischio quella del Cavaliere in cui Bersani rifiuta di entrare e infatti lascia cadere ufficialmente nel vuoto quella frase che Grillo scrive nel suo blog: «Prodi farebbe scomparire Berlusconi dalle carte geografiche». Un’apertura enorme. Che il leader del Pd fa finta di non cogliere per continuare a ripetere all’infinito lo stesso mantra: «Noi proveremo a eleggere il capo dello Stato con i due terzi del Parlamento». Tradotto dal politichese all’italiano: siamo pronti a un compromesso con il Pdl sul Colle. Ma poi appena le telecamere scompaiono e i taccuini vengono riposti nelle tasche dei cronisti, Bersani con i suoi aggiunge: «Sia chiaro che se il centrodestra pensa di fare scherzetti noi ci eleggiamo chi vogliamo senza di loro». Il che è vero fino a un certo punto perché anche su questo terreno il Pd è destinato a spaccarsi. Tra chi caldeggia l’accordo con il Pdl e Scelta civica, e quindi vorrebbe vedere al Quirinale Napolitano stesso, Amato, Marini o Monti (a questa scuola appartengono Letta e Franceschini) e chi invece punta a un aggancio con il «Movimento 5 stelle» e per questo non disdegna l’ipotesi Prodi (tra questi ci sono i «giovani turchi»).
Bersani sta in mezzo ed è amareggiato perché sa bene che si è già  aperta la fase congressuale. Secondo lo statuto del Pd, come ricorda il veltroniano Vassallo, entro il 24 aprile la presidente del Pd Rosy Bindi dovrà  indire l’elezione del nuovo segretario. Renzi, che gioca in casa ad «Amici» fa finta di niente: l’altro ieri ha parlato con Napolitano, ieri ha discusso con Errani, ma continua a tenersi defilato. E non partecipa nemmeno al tentativo di convincere Bersani a una «gestione collegiale» di qui al Congresso, come ieri ha proposto Fioroni e come Franceschini aveva già  ipotizzato qualche mese fa. Sì, perché c’è chi pensa di mettere un informale comitato di reggenza attorno al segretario, il quale, anche ieri, ha negato di avere in animo di dimettersi. Lo ha fatto con sdegno, pur sapendo che ormai nella partita politica che è costretto a giocare dovrà  guardarsi dagli amici del Pd piuttosto che dai nemici esterni.

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