Bersani e gli 8 punti: ho più fiducia di Renzi
ROMA — Alle cinque del pomeriggio Pier Luigi Bersani arriva a Palazzo Chigi più che mai convinto che la sua offerta di governo sia non solo legittima, ma anche doverosa. Lo ha detto in conferenza stampa, definendo la proposta votata dalla direzione del Pd «non una pretesa ma un dovere».
Ufficialmente un’ora di colloqui che vengono definiti molto cordiali servono al leader del Pd e al presidente del Consiglio per parlare di Europa e del prossimo Consiglio europeo. Se il discorso è caduto anche sulla politica interna, sui prossimi passi istituzionali, non viene detto. Al termine dell’incontro un comunicato congiunto pone l’enfasi solo su «crescita e creazione di nuova occupazione», a livello comunitario.
In un passaggio si rimarca la disciplina di bilancio dell’Italia, si sottolinea «la specificità » della situazione del nostro Paese, ovvero quel misto di conti a posto e grave recessione che dovrebbe indurre qualche riflessione: infatti, si aggiunge, il perdurare della crisi «rischia di indebolire l’impegno nazionale a realizzare le riforme strutturali». Insomma a Bruxelles ci vorrebbe più attenzione alla nostra situazione, «alla dimensione sociale della crisi».
È un po’ poco per definirlo un risultato concreto, la debolezza del governo italiano in carica non consente al momento di fare previsioni né chiedere nulla in sede comunitaria: per fare come altri, che hanno ottenuto vincoli di deficit più larghi dei nostri e lo slittamento del pareggio di bilancio, occorrerebbe ben altro esecutivo e un periodo di stabilità politica postelettorale.
Entrambe le cose al momento sembrano miraggi e dunque il colloquio fra i due non può che partorire una nota congiunta che ha anche la funzione di avvertire Bruxelles. Il messaggio è più o meno questo: non chiedete più nulla al Paese e semmai ponetevi il problema di aiutarlo. Del resto poche ore prima lo stesso Bersani non ha nascosto la difficoltà del suo tentativo attuale: «Il problema è l’abbrivio», ha detto, anche «se sono più fiducioso di Renzi, se avviene, sulla durata di questo governo».
Insomma nonostante sia un «dovere», che «non dipende né da me né da Napolitano» (ma dal «piccolo particolare di avere la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato») nemmeno Bersani oggi scommette più di tanto su se stesso. Il 14 marzo, quando Monti sarà a Bruxelles, mancheranno cinque giorni all’inizio delle consultazioni e ai leader stranieri che chiederanno lumi il Professore potrà fornire al massimo delle previsioni, probabilmente incerte.
Oggi identico incontro si sarebbe dovuto tenere con Silvio Berlusconi, ma è saltato per problemi di salute del Cavaliere (una congiuntivite). Da Beppe Grillo invece ancora nessuna risposta all’invito: alcuni grillini dicono che il loro leader non andrà , mentre Bersani avverte che «la logica del tanto peggio tanto meglio è distruttiva». Peccato che lo stesso leader del Movimento 5 Stelle dica al Time, in un’intervista, che aspira «al 100% dei voti»: insomma non la pensa come Bersani.
Al quale invece Grillo ricorda Bettino Craxi: «Da quando in qua governa chi è arrivato terzo alle elezioni? È dai tempi di Craxi che non sentivo una cosa del genere». Nonostante tutto il segretario del Pd è comunque pronto ad un eventuale passo indietro, se fosse necessario per arrivare ad un governo: «Non ne faccio una questione personale, per l’amor di Dio…». Mentre Rosy Bindi, da Michele Santoro a Servizio pubblico, si spinge oltre: «Se ci fosse un governo di alte personalità , il Pd non si sottrarrebbe. Bersani è uno che non ha messo il proprio nome nel simbolo».
Marco Galluzzo
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