by Sergio Segio | 20 Febbraio 2013 8:18
GERUSALEMME.Dall’ergastolo a 15 anni di detenzione. L’Alta Corte Militare di di Gaza ieri ha accolto il ricorso presentato dai due palestinesi, i presunti salafiti Tamer Hasasna e Mahmud Salfiti, condannati lo scorso settembre in primo grado all’ergastolo e ai lavori forzati per il sequestro e l’assassinio di Vittorio Arrigoni, avvenuto il 15 aprile 2011. Nell’aula del tribunale di Gaza city, presente la cooperante italiana Meri Calvelli che aveva seguito tutto il processo di primo grado, i giudici hanno informato Hasasna e Salfiti di aver accolto il loro ricorso, trovandoli adesso colpevoli solo di rapimento. Considerando la buona condotta e possibili sconti di pena, i due condannati potrebbero ritornare in libertà tra 2-3 anni. Ed è lecito attendersi, domenica prossima, quando si aprirà un altro processo di appello, una forte riduzione della pena a 10 anni di carcere inflitta al terzo condannato, Khader Jram, colpevole di aver partecipato al sequestro. Si aspettano le motivazioni della sentenza per capire cosa sia cambiato tra il primo grado e l’appello.
Ieri dopo l’annuncio a Gaza della riduzione delle pene detentive, si è discusso sui socialnetwork di garantismo e giustizialismo. Qualcuno ha giustamente posto la questione del rifiuto dell’ergastolo anche per gli assassini di Vittorio. Tuttavia l’andamento e l’esito dei processi di primo grado e di appello per il rapimento e l’uccisione di Vik possono essere solo in parte oggetto di questo dibattito. Ovvio, anche per Hasasna e Salfiti la pena non può essere solo punitiva ma deve puntare al reinserimento dei condannati nella società . Allo stesso tempo questo brutale omicidio, a danno di un attivista e giornalista che ha dato tutto per sostenere i diritti del popolo palestinese, non può essere cancellato con un quasi-colpo di spugna. La sensazione è che il caso non stia procedendo sui binari della legge ma lungo un percorso politico e sociale. A Gaza regna un dubbio: i giudici in primo grado potrebbero aver punito con severità gli imputati allo scopo di inviare un segnale all’esterno della credibilità della giustizia di Hamas. Poi in appello hanno bruscamente virato, sotto le forti pressioni giunte dalle famiglie dei condannati convinte che i loro congiunti non abbiamo commesso un crimine ma siano stati «manipolati» da Abdel Rahman Breizat e Bilal Omari, il capo e il suo vice della cellula salafita che ha rivendicato il rapimento di Vittorio. Entrambi non possono raccontare la loro verità perchè sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia.
Un altro fatto insolito è quello che a chiedere la riduzione della pena per i due condannati sia stato lo stesso procuratore militare che lo scorso settembre aveva invocato e ottenuto l’ergastolo. È in possesso di prove decisive sul non coinvolgimento di Hasasna e Salfiti nell’assassinio? Può darsi, ma non è questo che ha spiegato ieri a Meri Calvelli. La cooperante italiana ci ha riferito che al termine del processo è stata avvicinata dal procuratore che non le ha dato alcuna motivazione per la sua richiesta. Piuttosto ha lasciato capire che in appello una sentenza più mite era scontata perchè Hasasna e Salfiti erano stati condannati a 20 anni e non all’ergastolo. Una affermazione strabiliante se si legge il dispositivo della sentenza di primo grado che afferma, nero su bianco, che ad Hasasna e Salfiti è stato inflitto il carcere a vita per omicidio premeditato, sulla base dell’articolo 378 del codice penale rivoluzionario palestinese del 1979 e per sequestro di persona allo scopo di commettere un omicidio sulla base degli articoli 254 e 256 del codice penale del 1936. È questo caos su leggi, procedure e sentenze, l’affermare una cosa per negarla dopo, che lascia sconcertati se si tiene conto della gravità dell’omicidio di Vittorio Arrigoni. La difficile situazione di Gaza lo spiega solo in parte. Ieri si è appreso che l’Alta Corte Militare prima della sentenza si era riunita per ben 10 volte senza che nessuno ne fosse a conoscenza.
I diritti di Salfiti e Hasasna sono stati tutelati sino in fondo. Ora i due condannati devono mostrare rispetto per Vittorio e la sua famiglia. Ieri in aula entrambi sghignazzavano mentre i giudici leggevano la sentenza. Non si sono mai pentiti per ciò che hanno fatto.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/02/vik-e-quasi-colpo-di-spugna/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.