Un mostro chiamato Anvur

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2013 8:03

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È preliminare rammentare una banalità  storica, obliata in tempi nei quali si celebra il cosiddetto “merito” come una scoperta recente, la ricetta per rendere più equa ed efficiente la nostra società . Dovrebbe esser noto che tutti gli ambiti della vita sociale, pubblica e privata, l’intera macchina dell’istituzione statale in età  contemporanea, si sono organizzati sulla base della certificazioni di competenze dei singoli. Lavoratori, tecnici, impiegati, funzionari, dirigenti,liberi professionisti, ecc tutti svolgono il loro compito sulla base di un sapere acquisito che viene in vario modo accertato e valutato. I docenti universitari hanno svolto per diversi secoli il loro lavoro non per nomina reale, né grazie ai buoni uffici di qualche lobby della finanza, ma unicamente in base a valutazioni di merito effettuate da verificatori di pari competenza. Le stesse scienze si sono evolute sulla base di critiche e valutazioni continue nelle comunità  di appartenenza.
L’Anvur (agenzia nazionale del sistema universitario e della ricerca) è una creazione nuova ed estranea a questo modello e alle istituzioni valutative che lo hanno fin qui retto. Era nata per offrire al potere pubblico criteri di valutazione della produzione scientifica degli atenei e si è trasformata in un sistema panottico, che vuole sottoporre a vigilanza e a criteri di misurazione generali e standardizzati l’intero universo del sapere.
II) Come tutte le innovazioni neoliberistiche di questi anni, l’Anvur vuole trasferire e applicare in un nuovo ambito procedure e controlli già  sperimentati altrove, in genere nel mondo della produzione. È il modo molecolare con cui il capitalismo si annette nuovi territori, per assoggettarli alle sue finalità  di valorizzazione. È in fabbrica, infatti, che si valuta la qualità  finale del prodotto con criteri necessariamente massificati, dovendo certificare la qualità  di merci seriali e standardizzate. Ma la cultura e la scienza si esprimono in una varietà  incommensurabile di forme, linguaggi, valori. Per essere pienamente valutate, le realizzazioni scientifiche, culturali, artistiche necessiterebbero di criteri analitici tanto numerosi quante le singole opere da esaminare.
III) L’Anvur spinge verso la misurazione quantitativa dei “prodotti”. Nel linguaggio ministeriale, significativamente, ora si chiamano così i titoli scientifici. A ciò inducono il sistema ed i numeri. Possiamo giudicare anche un saggio di fisica dal dorso della rivista che lo ospita? Come sapevano e sanno gli esperti che lavorano da una vita a questi temi non c’è valutazione possibile senza giudizio. Senza analisi competente e interpretazione di merito dei singoli testi. Diversamente si avrà  una misurazione puramente quantitativa, volta ad accertare se le merci uscite dal processo produttivo hanno difetti di fabbricazione o sono vendibili.
IV) L’Anvur prosegue le ossessioni del riformatore neoliberista: la volontà  di puntare sul momento finale, “produttivo” e quantitativo tanto della ricerca che del processo formativo. Il sistema del 3+2, accompagnato dalla valutazione con crediti numerici, serve ad accelerare la produzione di esami in serie (e quindi di lauree in serie). Il contenuto, la qualità  dell’apprendimento sono ignorati e ridotti al calcolo delle ore presunte di studio per preparare gli esami. Ora, analoga e sproporzionata enfasi si pone sul momento finale della valutazione. Ma che senso ha creare una torre di Babele burocratica, quando i riformatori da decenni non fanno nulla per favorire la qualità  della ricerca, sia in termini di finanziamento che di innovazione nei contenuti, nel rapporto tra discipline, nelle forme dell’organizzazione?
V) L’Anvur è un mostro burocratico che tende a ingigantirsi. Oggi sappiamo che i sistemi quanto più si fanno grandi e complessi tanto più diventano ingovernabili, inefficienti, occasione di spreco. Sembra un paradosso: il credo neoliberista predica la guerra contro le burocrazie, ma esso promuove la creazione di nuove macchine amministrative. La spiegazione è evidente: la necessità  di trascinare in una logica di efficienza produttiva mondi multiformi e singolari, quello dei saperi e delle culture, spinge il legislatore a costruire sempre nuovi dispositivi, procedure, gabbie per assoggettare a criteri seriali e standardizzati ciò che per sua natura tende a sfuggirvi.
VI) L’Agenzia è costosa. Secondo un calcolo accurato di Giorgio Sirilli del 4 aprile 2012, apparso sulla rivista on line Roars, lo stato spende almeno 300 milioni di euro per tenere in piedi una simile struttura. Che tanto danaro venga impiegato per una macchina inefficiente destinata a valutare la ricerca , mentre si si sottraggono le risorse ai ricercatori che la realizzano, è qualcosa di più che un paradosso.
VII. La valutazione centralizzata crea una distorsione grave della ricerca, perché gli studiosi tenderanno a subordinare i criteri liberi e universali dei loro studi agli schemi estrinseci dei valutatori. Su questa strada il momento della valutazione diventerà  la linea guida degli studi e delle indagini delle prossime generazioni e la libera creatività  della ricerca, l’esplorazione di ambiti e mondi ignoti, sarà  castrata sul nascere. Sull’avvenire del sapere grava l’ipoteca di un’automutilazione della mente degli studiosi, che introietteranno gli schemi unilaterali dei valutatori come una prescrizione pianificatoria imposta dall’alto.
VIII) L’Anvur creerà  una alterazione grave del mercato editoriale. Già  oggi in Italia è assai difficile corredare di tabelle, apparati di note, grafici, ecc. dei saggi in forma di libri e sperare di vederseli pubblicati da case editrici di prestigio: quelle premiate dall’Anvur. Da noi non esistono le University Press e gli studiosi debbono subordinare le loro ambizioni espositive all’angustia del mercato editoriale. Ma il premio valutativo che l’Anvur dà  a certe case editrici e a certe riviste strozzerà  più di quanto già  non sia il mondo editoriale, creando situazioni di monopolio, generando lunghissime “liste d’attesa” , soprattutto di giovani studiosi che devono pubblicare i loro lavori.
IX) Ma noi sappiamo quel che già  accade dove il sistema Anvur è applicato da tempo. Per pubblicare, i ricercatori ormai pagano. Si è così creato un intreccio perverso tra pubblicazioni, carriere, business delle riviste scientifiche. In questo sistema – ha ricordato Valeria Pinto «le pubblicazioni sono prima di tutto “quasi monete”: unità  di conto per carriere, finanziamenti, classifiche e crescono in “masse finanziarie” tali che nessuno può più credibilmente leggerle». Un nuovo spettro si aggira per l’Italia: una nuova sorgente di illegalità  e corruzione di cui non si avvertiva il bisogno.
X) La volontà  da parte del legislatore di creare un sistema di valutazione nazionale degli atenei è in sé ineccepibile. Le risorse messe a disposizione dalla collettività  devono dalla stessa collettività  potere essere monitorate e controllate, naturalmente con istituzioni apposite. Ma non si può valutare il “merito” di una università  solo dalle ricerche dei suoi docenti, dal prestigio delle pubblicazioni, ecc Ma che cosa si giudica come meritoria della produzione scientifica delle varie facoltà ? L’ideologia dominante risponde: quelle ricerche che mostrano una evidente utilità  economica, tale da giustificare gli investimenti pubblici. Ma l’università  del Molise, o quella di Foggia, possono essere giudicate solo per questo? O non anche per il fatto che danno a un territorio marginale d’Italia una nuova vitalità  culturale e civile ( in parte anche economica) e quindi svolgono un compito che sfugge agli schemi valutativi dell’Anvur?

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GENERAZIONE TQ
Su Alfabeta 2 di febbraio il sillabario sulla scuola

«Generazione Tq» ha pubblicato un «sillabario» sulla scuola nel numero di febbraio di Alfabeta 2. Si tratta di un lavoro in progress con voci che vanno dalla A di Autonomia alla T di TFA, alle quali se ne aggiungeranno altre, grazie alla condivisione del documento in rete e nelle assemblee pubbliche che i TQ organizzeranno nelle prossime settimane. «Difendere l’autonomia della scuola significa allora sottrarla al dominio del mercato e ricollocarla in quello “spazio protetto” che naturalmente le compete in quanto bene pubblico» (dalla voce “Autonomia”). E si passa a una critica del concetto di «Meritocrazia»: «Il reclutamento dovrebbe avvenire valorizzando la preparazione specifica, l’esperienza pregressa, accumulata anche con un inquadramento precario, e l’abilità  comunicativa – linguistica e psicologica – del docente. Attualmente invece il concorso pensato dal Miur non riconosce alcun credito al servizio prestato e accerta le competenze solo dopo un test preselettivo che non verifica la padronanza della lingua italiana». «Quello a cui si assiste, in questa fase iniziale che appare ancora sperimentale e quantitativamente limitata, è un concentrarsi dell’attenzione più sullo strumento che sulla finalità  che si intende perseguire».

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